venerdì 30 aprile 2010

Tre delizie

Nonostante la cucina sia un'arte soprattutto fine a se stessa con la capacità di divorarsi grandi porzioni di tempo, di tanto in tanto mi salta addosso quella strana voglia di sperimentare, soprattutto per evitare di imbottirmi tutti i giorni di scatolette. Temo infatti che a lungo andare l'apriscatole si usuri e che dovrò comperarne uno nuovo. Con quello che costa non mi sembra proprio il caso.

Comunque, negli ultimi tempi, soprattutto la sera, mi sono messo un po' ai fornelli a fondere arte, mestiere e scienza. Ho concepito tre nuove ricette tutte per voi.

Cipollata alle uova
Ingredienti: uova, cipolle (molte), grana, noce moscata, olio, sale

Lavare e sminuzzare le cipolle. Versare un cucchiaio di olio in una padella e fare soffriggere le cipolle per qualche minuto. Rompere un uovo e versarlo nella padella. Condire con noce moscata, grana e sale. Mi raccomando di tenere sempre mescolato se no le cipolle attaccano alla padella e dopo è un casino pulire. Quando l'uovo si è rappreso, servire.

La cipollata alle uova è una variante molto sottile della frittata alle cipolle.L'inversione delle quantità è frutto della mia superiore fantasia.

Sa di cipolle, con il retrogusto di uova.

Tortino 2 formaggi al riso
Ingredienti: emmenthal, gorgonzola, riso

Fare lessare il riso quanto basta. Nel frattempo, in una padella, fare sciogliere l'emmenthal e il gorgonzola.
A cottura ultimata, versare il riso nella padella. e mescolare fino a ottenere un pastone uniforme. Attendere che solidifichi, servire.

L'aspetto è simile al mangiare del cane, ma la consistenza è maggiormente gommosa. Consigliatissimo per una cena estiva.

Insalata di riso ai sapori antichi
Con questa ricetta sono sicuro di aver raggiunto una vetta finora inarrivabile.

Ingredienti: riso, trippa in scatola, fagiolini, olio.

Fare lessare il riso, nel frattempo versare la trippa in una zuppiera. La trippa è incastonata in un involucro di gelatina. Sminuzzare il cilindro di trippa in modo da farlo apparire come se fossero tanti bocconcini. Scolare e freddare il riso sotto l'acqua fredda. Versare il riso nella zuppiera, aggiungere i fagiolini e l'olio. e mescolare. Servire fredda.

L'aspetto è agghiacciante. Il sapore, beh, è quello della trippa ingentilito dal riso e amalgamato dai fagiolini. Decisamente un piatto estivo, da presentare agli ospiti improvvisi.

Buon appetito!

giovedì 29 aprile 2010

Come al cinema

Mentre concludo le ultime faccende lavorative, faccio una lista di cose da comperare. Oggi mi tocca di nuovo la spesa. Eppure mi sembrava di aver già comprato abbastanza per qualche mese. Verdura fresca, insalata, pomodori, finocchi. Un po' di pane non guasta. Prendiamo anche delle schiacciatine da portare in ufficio. Poi mi manca il ferro da stiro, sai mai che mi venga voglia di appiattire gli abiti. Mettiamo in lista anche una scatola di preservativi XL tanto per impressionare la commessa. Chiudo il portatile e mi fiondo al supermercato.

Recupero un cestino con manico estensibile e rotelle e mi avvio nel marasma degli scaffali. Mi stupisce ogni volta la quantità di roba che la gente compera. Si vedono girare carrelli che rasentano la tonnellata di peso. Coppie di pensionati che spingono Ettolitri di acqua in confezioni da sei. Massaie che ponderano ogni scelta: tortellini ai funghi o ricotta e spinaci? Entrambi. I bimbi scorrazzano nel reparto giocattoli. C'è qualcuno che tenta di farsi una cultura personale leggendo qualche libro o qualche rivista di divulgazione, mentre altri ci danno dentro con l'headbanging mentre ascoltano l'ultimo abominio di Ramazzotti E poi ci sono io con il mio cestello con le ruote ancora vuoto.

Con passi decisi mi porto in una zona di osservazione. Vedo laggiù in fondo le verdure. Vado a prendere le verdure. Mi accaparro del pane più o meno di giornata. Trovo, ma con fatica, le schiacciatine. Devo prendere quelle gusto pizza perché quelle normali sono finite. Alla fine vado a cercare il ferro da stiro. Mentre mi avvicino al reparto piccoli elettrodomestici, noto un capannello di gente. Saranno una dozzina di persone, disposte più o meno in circolo, tutte che stanno rimirando qualcosa. Mi avvicino con un po' di sospetto. Cerco di intrufolarmi per curiosare l'oggetto di tanta meraviglia. Quando la vedo il cuore comincia ad accelerare. Mi sorprendo mentre batto le mani e spingo via una persona. La agguanto e la stringo a me, la abbraccio e se potessi le farei anche le fusa. Ho risolto tutti i miei problemi legati alla cucina: sto per comprare la macchina dei popcorn. Ora mi basta trovare il mais e sono a posto! Nella foga pianto il cestello nel reparto piccoli elettrodomestici. Pazienza, domani torno e lo recupero. Trovo il mais, corro a pagare, trotto fuori verso l'auto e a tutta velocità mi catapulto verso casa. Sono eccitato come un bambino a Natale. Oh che meraviglia! Non so contenere l'emozione. Una volta in casa, sventro la scatola e tiro fuori la macchina. Il libretto di istruzioni ha fatto una brutta fine durante l'apertura dell'involucro di cartone, ma non mi servono istruzioni per una cosa così primitiva. Mi sembra semplicissimo: verso il mais nella macchina (preventivamente attaccata alla corrente elettrica), la chiudo con il suo coperchio e pigio il bottone.

Detto, fatto. Attacco la macchina alla presa, verso il mais (metà confezione), copro e pigio. La macchina scaldandosi emette il tipico odore di nuovo che fanno tutti questi aggeggi appena comprati. Sento anche un leggero sibilo. Passano alcuni secondi e il primo chicco di mais esplode. Io mi metto a ridere come un matto. Sono preso da una tale frenesia che mi metto a girare a vuoto per la cucina. Ecco, penso, servirà una zuppierina dove mettere i popcorn. Mi volto verso la credenza per vedere se ho qualcosa del genere. Nel frattempo, all'interno della macchina i chicchi di mais, esplodono e saltano con maggiore frequenza. Forse troppa frequenza. Ne ho la conferma quando guardo la macchina. Il coperchio è sollevato da una montagna di fiocchi bianchicci che spinti dalle minuscole esplosioni dei chicchi sottostanti si stanno impadronendo del ripiano. Molti chicchi sono già sul pavimento e ho la sensazione che il peggio debba ancora arrivare. infatti il ritmo sale inesorabile e la cascata bianca si versa rovinosamente sul pavimento. Con la zuppierina cerco di arginare l'onda anomala di popcorn raccogliendoli dal pavimento per versarli al sicuro sul tavolo.

Ci vogliono alcuni minuti per arrivare alla conclusione del processo. Io sto ancora travasando popcorn dal pavimento al tavolo. Un po' sono triste: mi spiace buttare via così tanto sale per condire tutti i popcorn. Però la cosa mi consola perché avrò da mangiare per almeno 3 giorni.

mercoledì 28 aprile 2010

Sport e bellezza

Credo che la cucina sia un'attività altamente inefficiente. Per mangiare 5 minuti (ok, potrei andare anche più piano) devi stare davanti ai fornelli almeno una mezzora. Trovo la cosa abbastanza fastidiosa: limita la mia libertà e mi rende schiavo di pratiche arcaiche e primitive. Sto cercando di ottimizzare i tempi pur mantenendo una certa dignità di fondo. La mia cena: una scatola di fagioli bianchi (spagnoli forse) sgocciolati, una scatoletta di tonno e una banana. Pronta in pochi secondi, dal gusto intenso e dal potere sfamante molto elevato. Mi sento un grande. Vado in bagno a darmi una rinfrescata, fermo la lavatrice (aspetto i due minuti canonici) tiro fuori i pantaloni che avevo addosso oggi e recupero le chiavi dell'auto. Afferro una brioche dalla credenza e corro fuori. Sono circa le otto di sera e tra un'ora devo essere a 40 chilometri da qui: si gioca un'importantissima partita di pallavolo, valida per i quarti di finale di chissà quale torneo. Importantissima perché è femminile e io amo le pallavoliste.

Il tragitto è tutto sommato molto semplice, dritto per 35 chilometri, svoltare a destra per inforcare la tangenziale e seguire per il palazzetto dello sport. Ho l'occasione di provare il nuovo software di navigazione che ho installato sul telefonino (amo la tecnologia, soprattutto quella in cui posso mettere mano io). Accendo l'auto e parto. Mentre attraverso il paese imposto l'itinerario, partenza e arrivo. Noto subito che l'ottimizzazione spinta del software quando mi impone di girare a sinistra in una strada poco più che sterrata. Ma chi sono io per contraddire fior fiore di ingegneri e algoritmi? Svolto e penso alla mia moto. Per arrivare in città ci saranno sì e no un paio di curve appena accennate. Su questa strada non si vede un rettilineo nemmeno a pagarlo a peso. Quanto mi divertirei se fossi in sella! E invece sono al volante. Per di più ho una mano completamente occupata dal cellulare: non si aggiorna quando cambio posizione e quindi devo scrollare col pollice (che mi fa già male, credo che mi beccherò una tendinite).

Nonostante il navigatore riesco a perdermi un paio di volte. La seconda perché sto mangiando il croissant. Comunque arrivo quasi in orario. Compro il biglietto ed entro. Vedo un sacco di posti liberi, mi avvento verso uno e tento di sedermi. Una vocina di un tizio lì vicino mi fa sapere che è occupato. Faccio un passo verso destra, stesso discorso, destra, occupato, destra, occupato... occupato. Finisco praticamente in curva. Tempo 3 minuti e un'orda di selvaggi inferociti armati di tamburo e trombe mi corre incontro. Già temo per la mia incolumità, assicuro la mia anima al buon Signore mentre attendo la mia morte. Invece di travolgermi si avventano sui seggiolini e mi circondano in silenzio.

Inizia la partita e questi qui cominciano a lanciare cori. Il tamburo parte e non la smetterà più fino alla fine del match. Ora mi è del tutto chiaro il concetto di tempo. In campo nel frattempo si sta consumando lo stupro dello sport. Io credo che la pallavolo sia la massima espressione e sintesi della forza e della grazia umana. Queste dodici sceme stanno giocando talmente male che l'unico motivo per cui sono ancora qui sono lo loro uniformi così succinte che potrebbero essere vendute tranquillamente in un negozio di intimo. Mamma mia come sono belle!

La partita finisce, il risultato non ha molta importanza. Le cose veramente importanti sono che adesso ho gli occhi lucidi, sono diventato amico del tizio con il tamburo (ci siamo scambiati i numeri di cellulare ma io gli ho dato quello di Macaco1) e che la squadra con le giocatrici più belle ha vinto, così posso tornare a guardare la finale.

Torno a casa e mi infilo a letto con un sorriso nel cuore. Buona notte.

martedì 27 aprile 2010

Emozioni a due ruote

Naturalmente il weekend non è stato soltanto dominato dal nipote unno e da nonna yeti. Sabato mi sono concesso il lusso di andare a ritirare la moto in officina. Per l'occasione, mi accompagna mio padre in auto borbottando per tutto il viaggio. Quando entro in officina, il meccanico, mio ex compagno di scuola, mi corre incontro e mi fa un sacco di feste. La cosa mi insospettisce tantissimo. Con tanto di pacche sulle spalle (credo che mi abbia lussato qualcosa con quelle manone unte) mi spinge verso l'ufficio. Ora, l'ufficio di costui non è altro che uno sgabuzzino dotato di telefono, fax, macchinetta calcolatrice di quelle con il rotolo di carta, un tavolo sbilenco, una sedia marcia e una finestra dal vetro talmente lurido che non è possibile vederci attraverso. Si siede tra i lamenti della sedia e si mette a rovistare sul tavolo ingombro di carte finché trova una foglietto. Con la grazia di un fabbro tedesco digita sulla macchinetta una serie di numeri e nel frattempo si gongola un pochino. A me manca un po' l'aria e l'odore della stanza non mi fa sentire meglio. Un ultimo tasto e la macchinetta comincia a stampare un sacco di cifre. Quando finisce, il mio amico strappa il foglio e me lo porge anticipando il risultato: "Sono 850 euro."

Mi risveglio in una stanza di ospedale. Nonostante gli occhi siano ancora un po' appannati, riesco a distinguere i lineamenti decisi del mio amico (ma non credo che lo sarà ancora per molto) meccanico, chino su di me con un'aria un po' preoccupata. Ha ancora in mano il computo che gli ha stampato la macchinetta.

"Di' Paul, devi farti vedere eh, sei andato giù come un sacco. Queste cose non vanno certo bene alla tua età."
Mugugno qualcosa.
"Comunque, come ti dicevo, sono 850 euro." E parte con il resoconto fin troppo dettagliato dell'intervento di manutenzione straordinaria che ha subito la mia moto. Catena, pignone, corona, candele, cambio olio, regolazione filo acceleratore, olio impianto freni, leva della frizione, gomma posteriore, gomma anteriore, sostituzione lampadina posteriore, filtri vari, lavaggio, manodopera.
"Anche la gomma davanti?" faccio, con un filo di voce.
"Eh era bella liscia, mica vorrai andari in giro così no?"
"No."
Comunque, mi dimettono al volo, pago con assegno cercando di contrattare un po' il prezzo. Niente da fare. Spunto un 845 che non mi dà grande soddisfazione. Giubbotto e casco e parto. Decido di non tornare subito a casa, ma di godermi un po' la mia moto rimessa a nuovo. La accendo, il rumore è bellissimo. La faccio scaldare un po', monto in sella e parto. Al primo incrocio butto giù un paio di marce e tiro i freni senza grosso successo. L'olio deve ancora entrare in pressione e le pinze non fanno troppa presa. Vedo la mia vita passare. Quando mi fermo "pompo" un po' i freni e mi rimetto in viaggio.

Sinceramente non ho un ricordo nitido della scampagnata, mi ricordo soltanto di aver girato a vuoto per un paio di ore. Ho percorso strade basse, provinciali o poco più. Sono passato per paesi che non sono più di questi tempi, ricordano una vita lontana fatta di cose semplici e della quotidianità scandita dal solo passaggio delle stagioni. Io, la strada e l'aria fresca. Alzo anche un po' la visiera del casco per non perdermi i profumi di questa primavera. Sono felice.

Quando torno a casa c'è mio padre che mi aspetta appena fuori dal cancello, con le braccia conserte. Se mi sta aspettando lì significa che ho fatto tardi e che probabilmente è già più di mezzogiorno. Sono pronto ai suoi borbottii. Infatti, nel momento in cui tolgo il casco inizia la cantilena atona. La mia mente superiore riesce a filtrare selettivamente alcune frequenze di suono e negli anni mi sono addestrato a fondo affinché la voce di mio padre non arrivi oltre il timpano. Il problema è che mio padre considera tutto il mondo in termini di utilità e risparmio e, francamente, la moto è poco utile e soprattutto costosissima. Non penso all'acquisto, penso soprattutto alla manutenzione. Ma se la felicità può essere comprata per 850 euro, beh, sono ben contento di sostenere questo sacrificio.

Passa il weekend come vi ho raccontato ieri e arriva inesorabile il lunedì. La routine della settimana riprende ciclica (lunedì mattina lavoro e lunedì sera torno a casa mia). Una volta arrivato in cortile esito un po'. Sospiro ancora e mi coccolo con il ricordo del sabato, delle curve e di quel senso di libertà che può darti solo la moto. Entro e chiudo la porta. Devo architettare un modo per portare la moto qui a casa con me. Poi la metto sotto la finestra della camera, sposto un po' il letto così posso dormire vicino alla mia piccola amica.

Un sorriso si fa largo sul mio volto.

lunedì 26 aprile 2010

Grandi magazzini, piccoli uomini

Domenica aperto. Li vedi campeggiare sopra ogni supermercato almeno 3 volte al mese. Parlo degli striscioni colorati che coronano i grandi magazzini. Secondo me non li levano mai e si limitano a lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Fatto sta che domenica, dopo pranzo (vi risparmio i dettagli sulle battaglie aeree e sulle abitudini di Attila), il bel nipotino è più vivace del solito. Credo che si sia impossessato della tazzina di caffè di mia madre e l'abbia bevuta in un colpo. La povera donna ha cercato di levargliela con la sola forza del pensiero e con ben due decibel di voce intimandogli di metterla giù. Data la vivacità del pupo capisco che è molto meglio farlo sfogare altrove dato che in questa casa c'è ancora troppa roba mia e mi dispiacerebbe vederla ridotta in cenere entro la giornata.

La gestisco come sempre: "Andiamo al supermercato" gli faccio con un sorriso talmente falso che anche Giuda si sarebbe scandalizzato.
"Yaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!" l'invariabile risposta.
E poi la sorpresa, "Vengo anche io, ma andiamo dal cinese." Mia madre.

Dovete sapere che vicino al supermercato bersaglio dell'ira di Attila, c'è un negozio cinese, con cartelloni cinesi (con scritto sopra "domenica aperto"), con dentro gente cinese che vende roba cinese in cambio di soldi italiani (europei, ok!). E sia, andiamo tutti quanti al cinese a fare due passi. Il fatto che venga anche mia madre mi dà un po' da pensare, ma cerco di concentrarmi sulla guida mentre lei parla in continuazione e Attila salta sul sedile posteriore. Trovo commovente il fatto di soffrire mal d'auto mentre sto guidando a causa dei sobbalzi che le povere sospensioni devono subire mentre Attila si esibisce in fantanstiche piroette. Arriviamo dal cinese, si chiama tipo Dong Li Chen o qualcosa di simile. Quando scendo dall'auto sento lo stomaco leggermente stravolto, ma niente che un paio di bei respiri profondi non riescano a mettere a posto. Attila corre verso l'ingresso cinese urtando contro una coppia di persone. Si guarda attorno e corre a recuperare un carrello. Che tradotto significa che sta andando a cercare una vecchietta, preferibilmente sopra gli ottant'anni. Una volta individuata la vittima, il piccolo unno, con grande maestria le sottrarrà il carrello assieme alla moneta da 2 euro ivi contenuta e sparirà all'interno del grande magazzino cinese fingendo di essere Sandro Munari e urtando contro più scaffali nel minor tempo possibile. Quando io e mia madre entriamo vediamo una novantenne stesa: abbiamo un carrello.

Il grande magazzino cinese vende tutto e il contrario di tutto (ovviamente cinese). Io e mia madre ci separiamo. Così per curiosità vado sempre a vedere il reparto di tecnologia a basso prezzo. Bilance elettriche cinesi, caricabatterie universali cinesi per navigatori, lettori mp3 cinesi, computer portatili cinesi, macchine fotografiche cinesi, chiavette USB cinesi e un carrello cinese, guidato da un folle italiano alto un metro e dieci che si muove nella mia direzione a grande velocità. Non credo che riuscirà a fermarsi e mentre lo penso raccomando l'anima al Padre Eterno. Invece, a dispetto della fisica che regola il nostro mondo, riesce, facendo attrito (e un sacco di scintille) contro lo scaffale, a fermarsi appena prima di mettermi sotto.

"Lo yeti ti vuole! Lo yeti eh. Aaaargh! Nonna yeti!" e corre via sbandando paurosamente.

Dovete sapere che Attila ha grandissimo rispetto per i suoi antenati e chiama mia madre "lo yeti", capisco che la differenza di stazza sia notevole, ma almeno un minimo di deferenza nei confronti di sua nonna ci vorrebbe. Ritrovo mia madre che si sta provando una sorta di pelliccia. Riesco appena in tempo a soffocare una risata.

"Vieni, ti faccio vedere una cosa" mi fa.

La cosa è una specie di tappeto arancione fluorescente (reso così dalla presenza di batteri che popolano i fondali marini).

"Non sarebbe meraviglioso al posto dell'arazzo? In testa al letto?" mentre si gongola alla sola idea di appendere quell'abominio lurido in casa mia.

"Guarda... preferirei iniettarmi del colera, piuttosto che dormire con quel coso in testa."
"Non ti piace?" incredula.
"Quale parte di 'colera' non ti è chiara?
"Eh vabbè, non si può nemmeno forzarti, la casa è la tua. Comunque secondo me stava bene." Non ci posso credere: rinuncia.

Tento di filarmela ancora. Dopo un po' l'araldo dell'apocalisse mi ritrova e mi corre incontro. Frena (altre scintille) e mi fa sapere che nonna yeti mi desidera ancora.

Stavolta, la trovo mentre, coadiuvata da un commesso cinese, sta scegliendo un portabiancheria cinese. Tutti i modelli che sono esposti hanno qualcosa che non va (secondo me l'odore, secondo lei la forma). Il commesso è addirittura andato a frugare nel magazzino cinese e ha trovato un reperto del tardo periodo Ming. Mia madre apprezza, io molto meno.

"Scusi buon uomo, come si dice 'odora di morto' in cinese?" chiedo al commesso. Mia madre, capisce l'antifona e ripone il portabiancheria. Io so già che non finirà qui, perché mi deve trovare qualcosa. Fa salire, allora, il piccolo commesso sullo scaffale più alto per recuperare quel bel portariviste cinese di vimini. E sottolineo lo scalare. Il piccolo commesso lo recupera, ma nell'afferrarlo perde l'equilibrio. Commesso e portariviste di vimini precipitano, ed è solo grazie a mia madre che il portariviste si salva. Non si può dire lo stesso del commesso che giace a terra rantolante con una gamba piegata in modo innaturale. Data la scena straziante, acconsento all'acquisto dell'orrore in vimini mentre una sinfonia di porcellana annuncia l'arrivo di Attila nel reparto vasi... cinesi.

venerdì 23 aprile 2010

Solitudine

Adoro le sere di primavera. Il vento leggero muove le prime foglie, l'aria frizzante profuma di rinascita ed è densa di profumi antichi come il mondo. In sere come questa, sono solito tenere una finestra aperta e godere di queste piccole cose. Minuscole, certo, ma con il grande potere di ricordarti che sei vivo. In sere come questa, trovo molto difficile prender sonno, quindi inganno il tempo navigando distrattamente nella grande rete fino a tardi. In realtà non sto navigando troppo distrattamente, sto cercando informazioni precise riguardanti il porto d'armi. Dopo quello che è successo nei giorni scorsi e soprattutto ieri sera, ho in animo di comperare un fucile. Almeno sarà chiaro a tutti i visitatori indesiderati che sono pericoloso e armato. Sarebbe bello vedere le facce di Macaco1 e Macaco2 dal punto di vista del mirino del fucile. Già pregusto lo smarrimento di alcuni miei amici vedendomi sulla soglia di casa con l'arma a tracolla.

Per questioni principalmente estetiche mi sto orientando verso un fucile di taglio classico, qualcosa che ricordi il far west, ma che sia anche italiano, semplice e allo stesso tempo elegante, che sia preciso e potente. La scelta ovvia è di consultare il sito di Beretta. Trovo che il modello 471 Silver Hawk può fare certamente al caso mio. Semplicemente fantastico.

Navigo ancora un po', salvo qualche pagina qui e là e nel frattempo mi guardo attorno facendo lunghi respiri. Mi sorprende il fatto che questi qui non siano proprio respiri, direi più sospiri. Una strana ansia mi sta prendendo lo stomaco. È un leggerissimo disagio e mi chiedo da dove arrivi. Tutto è calmo, ho lavato i piatti e pulito, non ho altro da fare. Non sto dimenticando nulla, non ho alcun appuntamento per la sera (sempre che non si presenti qualcuno a sorpresa). Eppure d'un tratto queste pareti che solo pochi giorni fa mi davano sicurezza, mi stanno schiacciando con il loro candore. La casa non parla di me. Il bianco è totale, interrotto soltanto da qualche chiodo piantato e poi inutilizzato. Penso che dovrei appendere qualcosa, che so, un calendario, un orologio. Ma poi l'orologio mi darebbe fastidio, immagino. Il suo petulante ticchettio andrebbe a fare da controcanto al rubinetto che perde. Mio padre, armato di giratubi, è venuto a dare una sistemata la settimana scorsa, ma è sordo e per lui fa tutto bene così com'è. Non so. No, l'idea dell'orologio non è il massimo.

Capisco però che è questo silenzio che si porta dentro tutta l'angoscia. In casa mia c'era sempre qualcuno che parlottava, bisticciava, vociava, cantava o urlava. Era difficile sentirsi veramente soli. Fosse stato anche il rumore insistente del televisore, fastidioso oggetto che non ho voluto portare con me. Credo che la maggior parte delle trasmissioni sia un insulto. La radio non mi piace troppo, però credo che per la settimana prossima mi munirò di un piccolo impianto stereo e quanto meno di un paio di casse da attaccare al computer. Anche perché poi con la musica riuscirei a coprire il rumore delle auto che passano sulla via principale. Il loro dinamismo cozza così tanto con la staticità di questa sera che fa quasi male!

Qualche click distratto. Leggo alcune notizie, politica, economia, curiosità. Lancio qualche sbadiglio: mi sento come un lupo che ulula alla luna. Devo smetterla di mangiare cipolle, sono pesanti e non fanno bene al buon umore. Spengo il PC e vado a letto. Mi copro e abbraccio il cuscino aspettando che arrivi il sonno, che arrivi domani.

giovedì 22 aprile 2010

Incursione, atto finale

Esiste una categoria di persone con cui sei obbligato ad avere a che fare. Se sei fortunato ti capitano persone a modo, se non lo sei ti capitano degli animali. Sì, sto parlando dei colleghi con cui passi, se va bene, almeno otto ore al giorno. Ecco, le mie otto ore le passo di fianco a due esemplari facenti parte di una specie che non ho ancora individuato con certezza. In qualche modo assomigliano all'Homo Sapiens Sapiens, razza caucasica. Il colore della pelle, la presenza di pollice opponibile, la mancanza di coda (ma su questo si potrebbe indagare più a fondo), fanno presupporre la tesi umana. Nel momento in cui aprono bocca, tutta la teoria si frantuma. Il livello medio intellettivo è paragonabile a quello di un macaco. Inversamente proporzionale all'acume, invece, è il fastidio che danno. Tutto il giorno mugugnano e borbottano cose quasi incomprensibili. Usano la tastiera del computer come se fosse un incudine. Tendono a dire ad alta voce quello che stanno scrivendo (e non sempre ha senso). Parlano al telefono con un volume di voce proporzionato alla distanza dell'interlocutore, che nel nostro caso varia dalla Russia all'America Latina. Si grattano con frequenza e si nutrono per lo più di banane e altri frutti. Signore e signori: i miei due colleghi.

Niente di male, poteva anche capitarmi di peggio. Purtroppo con questi elementi bisogna anche fare conversazione, altrimenti la passi da asociale e la gente tende a pungolarti di più. Dati gli ultimi eventi, è stato logico parlare con loro del mio trasferimento e della mia nuova vita. Ho raccontato con entusiasmo le varie peripezie. Non ho mancato di ricordare, ovviamente, le varie incursioni che ho subito da parte di amici e parenti. E credo che sia stato questo, in fondo, il mio errore. Mentre li intrattenevo con le gesta degli unni, notavo una strana luce nei loro occhi generalmente spenti, e un sorriso dipinto sui loro volti. Ma più che un sorriso, questo assomigliava al ghigno odioso di chi sta architettando qualcosa. Per mia sicurezza non sono più tornato sull'argomento. Nei giorni seguenti li ho sorpresi varie volte a parlottare tra loro interrompendosi bruscamente al mio arrivo. Non ho dato troppo peso alla questione, avranno avuto da discutere riguardo le ultimissime scoperte della scienza: la ruota, il fuoco e cose così.

E arriviamo a ieri sera. Sono le circa le nove quando mi squilla il cellulare. Chi ha la voglia di farmi uno squillino adesso? Controllo la chiamata non risposta: Macaco1. Cancello la chiamata senza troppe cerimonie. Tempo un minuto e il cellulare squilla di nuovo. Stavolta il telefono mi dice che la chiamata è di Macaco2. Ma cos'è? Si sono forse messi d'accordo? La risposta la urla il citofono. Sì. Qualche secondo più tardi le urla selvagge dei due risuonano nel cortile. Quando poi si mettono a picchiare sulla porta d'ingresso del palazzo, capisco che non ho scampo, mi tocca farli entrare per non attirare le attenzioni degli altri condomini. Corro ad aprire in tutta fretta. I due, saltellando, si avventano verso la porta del mio appartamento senza aspettarmi. Uno ha in mano alcuni cartoni fumanti, l'altro un paio di bottiglie di birra. Entrano urlando "Permessoooooo!", sgomberano il tavolo in malo modo, frugano nei cassetti fino a trovare alcune posate, tre bicchieri e i tovaglioli di carta, scoperchiano i cartoni e, afferrate due sedie, si mettono a tavola.

"Buon appetito!"

Ho forse qualche alternativa? Mi siedo con loro e ceno: stasera pizza. Per me hanno pensato bene di comprare la più piccante in assoluto condita con olio al peperoncino. Loro si sono presi un paio di pizze più o meno normali. Nel senso che non ci sono banane sopra. Durante la cena i due fanno amorevole conversazione, parlano della giornata, degli amici, delle loro avventure e disavventure, del passato, di ricordi, di speranze, di propositi, di sogni. Io li sto ad ascoltare. Nel frattempo si ingozzano di pizza. Fanno fuori anche le bottiglie di birra (lasciandome due dita, si intende). Di tanto in tanto Macaco2 fa apprezzamenti sulla casa. Bello questo, bello quello, bello il divano, bella la cucina. Macaco1 si limita a guardarsi attorno, stupito. Tra me e me penso che alla fine sono quasi più civili dei miei amici, almeno questi non si sono lanciati sul letto. Pizza finita. Mi sento in obbligo di offrire qualcosa. Ho dei legumi in scatola, del tonno, la trippa ovviamente e del gelato. Opto per il gelato. Macaco2 afferra la scatola e comincia ad ispezionarla. Legge ad alta voce gli ingredienti. Quando declama "Latte in polvere reidratato" lancia il gelato nel lavandino. "Non fa per me", aggiunge. Ricordo che questo qui deve avere qualche stramba intolleranza alimentare. In compenso comincia a guardarsi attorno. Nel momento in cui vede il cestino della frutta con dentro la mia arancia, lancia un urlo di vittoria. Si impadronisce del frutto e comincia a pelarlo. Io e Macaco1 ci accontentiamo del gelato.

Passa ancora una buona mezzora. Ridono e scherzano, poi uno si alza di scatto e fa "Beh, è tardi io vado a casa." L'altro lo segue. Ringraziano per l'ospitalità, e si avviano verso l'uscita. Penso che non sia stata così male, in fondo una serata in compagnia è pur sempre meglio di una sera tutto solo soletto coricato sul divano con lo sguardo fisso verso il soffitto. Mi giro per prendere le chiavi di casa quando sento un urlo di gioia e un tonfo.

"Yaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!"

E Macaco1 vola e atterra sul letto, mentre l'altro se la ride.

mercoledì 21 aprile 2010

Abuso di potere

L'emozione della prima lettera non ha eguali. L'altro ieri, tornando a casa dopo il lavoro, ho notato un angolo bianco sbucare dalla cassetta della posta. Dopo alcuni secondi, il tempo di parcheggiare l'auto, ho realizzato che era la mia cassetta della posta. Quasi saltellando sono andato a ritirare la lettera. Chi può avermi scritto? Sicuramente non i miei amici unni, quelli non sanno scrivere altro che sms fastidiosi. Certo non i miei colleghi, mi vedono tutto il giorno, non avrebbe senso scrivermi una lettera. Ah, le lettere! Conoscete forse un modo più bello per comunicare? Sono eleganti, imbustate in candidi involucri e consegnate direttamente a domicilio. Non bippano come il cellulare. Sanno aspettare. E poi non ha paragoni il tagliare la busta con trepidazione, speranza, paura alla volte, per scoprirne il contenuto. Le lettere sono fisiche, si portano dietro qualcosa di chi le ha scritte, il profumo, una lacrima, l'inchiostro. Potremmo stare qui ore a parlare della scelta dell'inchiostro. Nero, deciso, serio, rosso scuro, passionale. Matita, penna biro, stilografica, macchina da scrivere. Le lettere ci dicono tantissimo della persona che le ha scritte.

Con questi pensieri in testa arrivo alla buca delle lettere, allungo la mano e colgo la busta. Mittente, Comune di R. Che carini! Mi daranno il benvenuto in questo postaccio dimenticato da Dio. Corro in casa, apro la busta e leggo famelico la missiva.

"Siamo passati almeno tre volte a fare l'ispezioncina per la residenza. Vedi di farti trovare la prossima, altrimenti la residenza te la scordi."

Beh, un benvenuto un po' freddino, ma pur sempre un benvenuto. Ceno (non ho cuore di dirvi cosa sto mangiando), rileggo più e più volte la lettera. Più che un benvenuto ha la forma di un ricatto. Nota per me: domani chiamare il comune.

L'indomani chiamo per accordarmi sulla visita del vigile. Mi risponde la solita tizia.

"Pronto?"
"Buongiorno, io..."
"Gli uffici aprono alle 8.30"

Rimango al telefono 3 minuti in silenzio.

"Dica."
"Buongiorno, io volevo sapere quando passate a fare la visita per la residenza." Do le mie generalità e mi accordo per la sera stessa verso le 18.

Un collega mi ha assicurato che la visita è una pura formalità. In pratica il vigile deve sincerarsi che il nucleo famigliare sia esattamente quello dichiarato e che l'immobile sia effettivamente utilizzato come residenza e non per esempio come magazzino per lo smistamento di droga proveniente dal sud est asiatico. Nel qual caso scatta la denuncia alla Guardia di Finanza e non ti danno la residenza. Guardo la casa (io chiamo casa queste due stanza). È sufficientemente in disordine, il letto è sfatto, le stoviglie utilizzate per la colazione giacciono, sporche, nel lavello, così come quelle per le cene precedenti. Il lavello è inutilizzabile a causa della montagna di piatti. La biancheria pulita è su un paio di sedie vicino all'armadio, quella sporca è per la maggior parte nel cestone in bagno, ma si trovano anche un paio di calze sul davanzale della camera da letto e ci sono delle mutande sul pavimento. Sì, direi che è abbastanza, ma manca ancora qualcosa. Mando un sms a un collega: mi porti un libro da leggere. Così quando torno a casa gli metto un segnalibro qualunque e lo sbatto sul divano. Sono un genio! Sento già il certificato di residenza nelle mie mani.

Giornata in ufficio, ritiro il libro del collega e torno a casa, pronto per il confronto con il vigile. Parcheggio, entro, metto il segnalibro, sbatto sul divano, mi siedo e aspetto. Suona il citofono, eccolo qui che arriva. Apro e gli vado incontro. L'uomo è alto almeno un paio di metri, direi sui quarantacinque anni, indossa la camicia estiva nonostante tutto, le maniche sono gonfie di muscoli, l'espressione è in perfetto stile Rambo e ha in mano il manganello. La postola la tiene ancora nella fondina.

"È lei il tale della residenza?"
Un po' smarrito rispondo che sì, sono io.
"Bene, adesso la vediamo. Mica possiamo dare la residenza a tutti quanti! Figuriamoci."
Lo accompagno verso l'ingresso, apro e lo faccio accomodare.
"Cos'è? Ha forse una coltivazione abusiva di cipolle? Lo sa che non si possono fare colture in casa?"
Spiego che è la cena del giorno prima: frittata alle verdure.
"E quello?" Indica con il manganello la piramide di piatti, "cos'è esattamente? Per una frittata ha fatto tutto questo casino? In quanti abitano qui dentro, io ho scritto una persona, ma forse stiamo nascondendo qualcosa... o qualcuno?"
Adesso il manganello è puntato verso il mio naso, posso sentire l'odore del sangue e delle ossa rotte che ha già causato.
"Mi sa tanto che dovremo guardare ben bene..." E comincia.

Cucina: tutti i ripiani svuotati, frigo perquisito, vagliato, formaggi messi sotto sequestro per accertamenti. Mi ha lasciato il ragù di mia madre.
Camera: armadi rovistati, panni buttati per terra (per cercare tracce di gente "è un classico, l'armadio") letto distrutto, materasso appoggiato alla parete, mutande e calze calciate in un angolo.
Bagno: rovistato cestone della roba sporca, panni sparsi in giro. Controllata doccia e lavabo. Smontata con un cacciavite la cassetta dei servizi igienici ("è un controllo di routine: se non nascondi droga non hai niente di che preoccuparti").

Due ore più tardi, soddisfatto, fa per andarsene. È già sulla soglia di casa quando si volta.

"Non mi convince. C'è qualcosa che non mi convince. Perché hai un libro sul divano e sulle librerie non hai nulla? Sa tanto di messa in scena..." Si guarda ancora un po' in giro e poi sbuffa. Mugugna qualcosa ed esce. "Bene, tempo un mese e riceverai il tuo certificato di residenza. Ma attenzione, perché ti tengo d'occhio ok?"

Sorrido. Chiudo la porta e guardando il disastro mi sento violentato: benvenuto a R.

martedì 20 aprile 2010

Infanzia rovinata

Mentre mio nipote mi ride in faccia con la bocca piena di patatine, penso che sarebbe molto meglio vivere in Alaska piuttosto di vedere una giovane vita rovinata dalla mancanza di educazione e dal vizio.

Ecco come sono andate le cose. Domenica, la regola impone il pranzo in famiglia. Per l'occasione partecipa anche mio nipote, figlio di mio fratello. Il pargolo ha 10 anni e un'intelligenza distruttiva, nel senso che riesce a rompere qualunque cosa gli capiti sotto mano e senza sforzo. Mia madre (ve la ricordate no? Piomba a casa mia ecc. ecc.) ha una predilezione particolare per il bimbo e cerca di viziarlo in ogni modo possibile e immaginabile. Ore 11.45, Attila (chiameremo così il nipotino) si aggira in cucina lamentando un certo appetito. Si dovrebbe mangiare a mezzogiorno, ma nossignore: Attila ha fame, quindi mangia subito. Lei gli apparecchia un piatto con un tris di risotti (pesto, zafferano e pomodoro a simulare la bandiera italiana) mentre gli altri commensali non sono ancora a tavola. Quando arrivo in cucina vedo Attila che mangia con le mani qualche chicco di riso, così, annoiato. Guardo mia madre cercando di fulminarla e lei si giustifica: "Aveva fame, poverino..." A conferma di questa tesi Attila spinge via il piatto e guardandola le dice di mangiarselo lei il suo riso. Sento qualche vena che pulsa sul collo e in fronte.

"Oh, non ti piace il risotto?"
"No."
"Oh, vuoi della pasta? Le farfalline?"
"Sì", ma con un ghigno malefico che gli decora il volto.

So già come andarà a finire. Pasta pronta, piatto speciale per l'ospite speciale! Arrivano le farfalline prima ancora che arrivi il risotto per noi altri. Tutto contento Attila comincia a giocare con le farfalline inscenando alcune famose battaglie aeree. I morti finiscono sulla tovaglia, per terra, nei piatti altrui, addosso a me. La sola cosa che mi ferma dal farmi giustizia da solo è che poi mia madre mi userebbe violenza. Nota, mia madre pesa tre volte me: non c'è gara, se mi prende mi fa veramente male.

Ore 12, arriva mio padre, si siede e guarda il campo di battaglia. Sospira e mugugna qualcosa.

Ore 12.03. Tutti quanti abbiamo il risotto, siamo seduti e ci auguriamo il buon appetito, mentre il Barone Rosso Barilla precipita nel mio bicchiere con fragore.

Ore 12.04, l'annuncio. "Devo andare a fare la pipì." Lei si alza come se fosse stata fulminata da una scossa elettrica e lo accompagna in bagno. Probabilmente gli serve del supporto morale.

Ore 12.10, torna. Non credo di aver sentito il rubinetto. Attila non è troppo amante dell'igiene e forse le mani non se le è lavate, in ogni caso non voglio veramente saperolo.

"Voglio le patatine." Attila non chiede: ordina. Subito la balia del piccolo imperatore barbaro scatta sull'attenti e comincia a rovistare in tutti gli scaffali per cercare il sacchetto grande. Io e mio padre soffochiamo un risata. Abbiamo messo il sacchetto del vizio sopra il mobile, in un posto segreto che nè il bimbo nè la nonna riescono a raggiungere.

Io tento un inizio di ricatto: "Mangia un po' di carne e ti do le patatine". Mia madre mi fulmina con lo sguardo, io resisto ma sono un po' a disagio, temo ripercussioni. Attila è su tutte le furie, picchia i pugni e sparge pasta.

Ore 12.22, arriva la carne. Pietanza uguale per tutti, già questo mi fa piacere. Attila cerca di archiviare il discorso carne travasandola (sempre con le mani) nel piatto della nonna. Io per sfida vado a recuperare il sacchetto di patatine e ne mangio un po', proprio davanti ai suoi occhi. È uno dei momenti migliori della giornata: Attila è quasi in lacrime, ma cede al ricatto quando riposiziono il sacchetto in alto sopra il mobile. Afferra un pezzo di carne, lo morsica e lo ingoia. Lei commossa da tanto sacrificio afferra una sedia e comincia a scalare la credenza, recupera l'oggetto del contendere e lo dà con gioia al suo pargolo adorato. Attila infila una manina nel sacchettone e si ficca una manciata di patatine in bocca. Mastica un po' e poi si mette a ridere sputazzando nella mia direzione.

Nota per me: cercare il primo volo disponibile per Fairbanks.

lunedì 19 aprile 2010

Un sabato in moto

Le assicurazioni on line sono nate con lo scopo di non dare la possibilità al cliente di strangolare l’assicuratore con le proprie mani. È una settimana che li rincorro con il telefono perché, data la stagione, ho deciso di sbloccare l’assicurazione della moto. Sì, sono il fortunato possessore di una bella naked tutta nera e grigia. Il grigio è la polvere, mi piace il senso di vissuto che dà alla moto. Nel frattempo ho preso appuntamento dal meccanico, mio ex compagno di scuola, per una revisione generale. Fisso l’appuntamento è per sabato mattina. Dopo innumerevoli telefonate con l’assicuratore sono riuscito a spuntare l’attivazione della mia polizza proprio per sabato, ma quando ricevo il tagliandino provvisorio, noto che la polizza parte sì di sabato dalle ore 24. Chiamo l’assicuratore e con una calma quasi zen gli faccio sapere cosa penso di lui, di sua madre e di sua sorella. Dopo mezzora di insulti non ottengo nulla se non la soddisfazione di essermi sfogato.

Problema: devo portare la moto dal meccanico sabato mattina. Devo percorrere solo 6 chilometri, ma posso scommetterci l’osso del collo che troverò almeno una pattuglia. Se mi fermano mi ritirano tutto, patente, moto, carta di credito e dignità. Soluzione: studio un itinerario che mi porta dal meccanico per strade basse e per campi. Non ho voglia di spingere la moto per 6 chilometri, pesa 200 chili a secco, figurati.

Il meteo naturalmente aiuta, per sabato mattina danno piogge e schiarite. Fino alle dieci ci sono le piogge, poi arriva una schiarita. Per una volta ci hanno preso. Giubbotto, casco e mappa stampata su un foglietto e parto. L’itinerario è lungo circa 20 chilometri contro i 6 effettivi, ma è l’unica strada che posso fare.

I primi metri sono su asfalto e questo fa bene al morale, svolto a sinistra e prendo una strada sterrata, arrivo ad una cascina, svolto a destra. La strada sterrata finisce e comincia un sentiero di fango ed erba. Il fango lo detesto, ma è l’erba il vero nemico. Con le gomme che ho pare di fare pattinaggio artistico. Metto in terza e vado a rallentatore, ogni tanto provo una frenata per vedere so sto guidando in sicurezza. L’ultima frenata è fatale. Sono quasi fermo, la moto scivola e si inclina leggermente, metto giù il piede ma scivolo sull’erba umida. Vedo tutta la mia vita scorrermi davanti agli occhi. Sono spacciato, sto andando giù, sto andando giù! Mi appello al buon Signore, punto il piede a terra, piango, impreco, rido tutto in una frazione di secondo. Poi il miracolo. Riesco, ma non chiedetemi come, a rallentare la caduta della moto e nel frattempo a restare più o meno in piedi. Quando il tempo riprende a scorrere la situazione è questo: moto per terra, io in ginocchio.

Con uno sforzo disumano riesco a rimettere verticale quella matassa di acciaio di 200 chili. Mentre piango controllo tutto. Sembra tutto a posto, è solo sporca. Anche io d’altra parte sono sporco, adesso quando arrivo a casa colei che tutto sa e che tutto vede mi soffocherà di domande. Riparto e noto con sommo dispiacere che la leva della frizione si è rotta.

Impreco molto, fino alla fine della stradina maledetta. Mancano 500 metri per arrivare dal meccanico. Faccio per svoltare a sinistra quando noto che una pattuglia è ferma alla rotonda. Panico. Spengo la moto, scendo e me la faccio a piedi spingendo come un dannato. Ok, penso, sono solo 500 metri. Mentre passo di fianco alla pattuglia, i due carabinieri ridono mentre mi tengono sotto tiro con il mitra. Io li saluto con un cenno del capo.

È quasi mezzogiorno quando arrivo all’officina stremato dallo sforzo. Metto la moto sul cavalletto e mi accascio su una sedia mentre il mio amico meccanico controlla tutto e scribacchia su un blocchetto. Dopo una decina di minuti ritorna e mi porge il blocchetto con su scritto il preventivo. Leva frizione, revisione ruota posteriore, cambio corona, catena, pignone, lavaggio e manodopera: 700 euro. Svengo. Mi risvegliano a ceffoni. Ho ancora il blocchetto stretto in mano. Il mio amico mi rincuora. “Su dai, non fare così, pensa che se avessi avuto una Ducati avresti speso almeno il doppio. E senza lavaggio.”

Un sorriso mi increspa le labbra.

venerdì 16 aprile 2010

Burocrazia

"Buongiorno, io..."
"Gli uffici aprono alle 8.30."
"Sì, ok ho letto il cartello, ma sono le 8.25 e lei è già qui."
"Niente da fare, gli uffici aprono alle 8.30."
Aspetto cinque minuti fissando con astio la dipendente zelante. La cosa che mi dà particolarmente fastidio è che ce l'ha lei il coltello dalla parte del manico e quindi mi tocca stare al suo gioco. Devo prendere la residenza in questo postaccio, non tanto perché mi sento parte della cittadinanza, al contrario, ma così pago gas e luce con le tariffe per i residenti. Che se poi ci pensate è assurdo: la corrente elettrica sa che non sono residente quindi è più riottosa ad entrare nel forno o nel tostapane? Guardo l'orologio: 8.28. Aspetto. 8.29. Aspetto. 8.30.
"Buongiorno, io..."
"Un attimo che devo accendere il computer."
"Ok, ma cazz... santo cielo non poteva farlo mentre aspettavamo?"
"No, gli uffici aprono alle 8.30. Comunque vedo che ha molta fretta. Mi dica."
"(Dio grazie) Buongiorno, io vorrei prendere la residenza qui a R."
"Molto bene."
"Non dovrei firmare qualche modulo?"
"Sì, assolutamente."
...
Sono confuso e al tempo stesso il mio animo da antropologo sta esultando. Ho di fronte a me un esemplare di uomo (donna) di Neanderthal sopravvissuto fino ai giorni nostri.
"E questi moduli me li dà lei o... dove posso trovarli?"
"Li deve chiedere all'ufficio anagrafe."
"Ok, sa dov'è?"
"Sì."
Aspetto dieci secondi una risposta che non ha intenzione di arrivare. Non voglio chiederle dove sta il maledetto ufficio e offendere la sua intelligenza, poi desideroso di farla finita il più presto possibile mi faccio coraggio.
"E dove lo trovo l'ufficio anagrafe?"
"Al secondo piano, prima porta sulla sinistra."
"Grazie."
Salgo i gradini a due a due. Secondo piano prima porta a sinistra. Eccoci qui, la porta è chiusa. Busso senza ottenere una risposta. Busso più forte, ma con lo stesso risultato. Provo ad aprire la porta ma pare sia chiusa a chiave. Torno di sotto.
"Scusi eh, ma pare non ci sia nessuno..."
"Eh la collega è in ferie, rientra domani."
"Ma non me lo poteva dire subito?"
"E cosa sono telepatica io? Che ne so che deve andare all'anagrafe?"
"Io, guardi, davvero, spero che... no, ok torno domani."
"Sì, si ricordi che qui apriamo..."
"Alle 8.30, lo so. Grazie."
Desidero ardentemente la sua morte e dire che non sono mai stato violento.
L'indomani mi ripresento alle 8.30 precise. Inforco la scala e tento di salire.
"Desidera?"
"Eh? Ah, devo fare il cambio di residenza, vado su all'anagrafe."
"Se vuole, la domanda la possiamo fare anche da qui, un attimo solo che accendo il computer."
"Ma... ieri... la collega... il modulo..."
"No beh, se preferisce andare su, ok, facevo solo per aiutarla. Vada vada, su su!"
Secondo piano prima porta. Salgo, busso senza ottenere risposta. Busso più forte.
"Avanti."
La voce è talmente flebile e antica! Ha quel gusto di inizio secolo che mi ha sempre affascinato.
Entro. La collega dell'anagrafe: vecchierella di 102 anni circa, piccola, raggrinzita, occhi vitrei, mano tremante, grosso registro sulla scrivania, penna d'oca, inchiostro, tampone. Sono scoraggiato ma la tento lo stesso.
"Buongiorno, io dovrei fare il cambiamento di residenza. Mi ha sentito? Sta bene?"
Passa almeno un minuto. La vecchierella (che pare la nonna di Nefertiti) si alza e si dirige verso l'armadio che ha alle spalle. Afferra un paio di moduli con una mano grifagna e torna alla scrivania porgendomeli. Mi guarda, ma probabilmente non mi vede.
Boh, compilo i moduli alla meno peggio, inserisco anche le targhe di auto e moto, da che ci sono mi conviene. Intanto lei sta lì ad aspettare, rassegnata al passaggio imminente dell'oscura mietitrice o della fine della giornata. Consegno. Nel successivo quarto d'ora il modulo è letto e riletto da quei due occhi che hanno visto troppe estati. Poi, quasi grazie a un intervento divino la vecchierella decide di avallare la richiesta: estrae la penna d'oca e pone la sua firma in calce ai fogli. Mi fissa.
"Abbiamo finito? Posso andare?"
Non ottengo risposta ma lo prendo per un sì.
Scendo le scale, sono quasi stordito non riesco a capire quello che mi sta succedendo, è troppo lontano da me è... alieno. Esco dal comune, ma una voce petulante mi ghiaccia sul posto.
"Tutto bene?"
"Beh, tutto sommato non è andata male."
"Riceverà i documenti del cambio di residenza direttamente in posta. Le devo chiedere anche 10 euro per la pratica."
"Eh? 10 euro? No ma diamo i numeri? Per due firme 10 euro?"
"Non sono per le due firme, sono per la marca da bollo, alcune spese accessorie, due pacchetti di caramelle e le fotocopie che le faremo."
"Ok, allora, ecco qui 10 euro, ma spero veramente che venga il diabete a tutti quanti! E che crepiate tra atroci sofferenze."
"Sì? Lo sa vero che deve venire il vigile a casa sua a convalidare la residenza?"
Impreco mentalmente. Impreco talmente tanto che un turco si vergognerebbe di me.
"E lo sa vero che il vigile è pure mio marito? E lo sa vero che le ribalterà la casa?"
Hanno il coltello dalla parte del manico, niente da fare. Avevo la possibilità di vivere tranquillo e me la sono lasciata scappare a un passo dalla fine. Mi sento un po' come Orfeo ma molto più incazzato.

giovedì 15 aprile 2010

Preghiere

Non mi sento troppo tranquillo. Sono alcuni giorni che non ricevo visite moleste e la cosa mi sta preoccupando parecchio. Non sto parlando di colleghi o amici (o presunti tali), ma di mia madre. L'imprevedibile donna potrebbe presentarsi in qualunque momento e disporre di quelle due stanza come se fossero sue. Comunque, quando oltrepasso l'arco che dà sulla corte di casa mi rallegro: l'auto di mia madre non c'è, sono salvo. Entro in casa, sbatto il computer sul divano e mi dirigo verso il bagno. Quando entro in camera da letto svengo.

Qualche ora più tardi mi risveglio, confuso.

Lo stendino non è più al suo posto di fianco al letto e piegato sotto la mole immensa di panni stesi. Il letto è rifatto con una precisione micrometrica. Ma è l'arazzo che pende sopra la testiera del letto (del MIO letto Ikea, costruito con tanto amore e con il mio cacciavite) a scatenare l'orrore dentro di me. Tanto per cominciare è un arazzo. Inoltre sopra sono ricamate delle figure vagamente umanoidi ma con elementi che ricordano creature marine. I colori sono scuri e cozzano uno contro l'altro.

Colto da un'improvvisa frenesia corro in cucina per vedere quali nefandezze sono state compiute. Ho un nuovo cestino dei rifiuti, posizionato in modo tale da impedire al frigo di aprirsi. Vicino alla bilancina c'è un vassoio di puro argento tempestato di dimanti (credo finti). Non sapevo di essere ricco. È riapparso il mio bongo (comprato usato a Nairobi qualche anno fa). Sto seriamente pensando di espatriare. So cosa mi sta aspettando dentro al frigo, me lo sento nelle ossa e le ossa non mentono! Non oso aprirlo. Ho bisogno di aria. Decido di fare due passi per riprendermi dal trauma e per ossigenarmi un po'. Devo anche buttare giù un paio di chili, camminare non mi farà male. Vago senza scopo per un'oretta. Quando sento il richiamo della foresta (fame!!!) torno verso casa. Sulla strada del ritorno sfrutto il potentissimo ripetitore (che mi ucciderà) per chiamare i miei.

"Hai visto che ti ho messo l'arazzo in camera?"

Grazie a Skype (pessimo ma che pago veramente pochissimo) mia madre non sente tutti gli insulti che le sto dicendo, così le mie pretese sull'eredità sono ancora salve.

Arrivo a casa. Mi ha parlato di verdure in un tegamino (penso dentro al frigo) e un po' di bresaola. La tentazione è di lanciare tutto quanto in strada, tegamino incluso, ma la fame è tanta e la voglia di esplorare gli abissi dell'arte culinaria è davvero poca. Cedo. Vado in bagno a lavarmi le mani già sapendo di trovare qualcosa di nuovo. Infatti alcuni nuovi asciugamani dai colori sgargianti sono in bella mostra vicino al lavabo.

Apparecchio. Dopo la tovaglia cerco le posate. Apro il cassetto e qualche istanto più tardi mi trovo con le mani giunte pregando Iddio. Signore, tu che mi vuoi bene, fa che diventi daltonico... cieco... meglio morto. Perché mi punisci così tanto?

Piuttosto di mangiare con le posate rosa uso le mani.

Buon appetito.

mercoledì 14 aprile 2010

La cena è servita

Certo chi ha elencato le sette arti si è dimenticato clamorosamente della cucina. Trovo che la cucina sia la più bella fra tutte le arti perché nobilita uno degli istinti più bassi dell'uomo: la fame. Lo nobilita e gli toglie quella parte animalesca del mero nutrirsi per sopravvivenza. Crea il piacere e lo mischia con il bisogno fisico. Per dire, non hai bisogno di guardare il bassorilievo babilonese, ma certo hai bisogno di mangiare se no, non arrivi alla fine della giornata.
Per cucinare servono mestiere, estro, genio, sregolatezza, pazienza, senso del gusto, senso estetico, un fine olfatto e gli ingredienti giusti. E modestamente io ho tutto quanto mi serve per vestire i panni di un cuoco provetto.

Tornato a casa dal lavoro mi coglie l'improvvisa voglia di mangiare qualcosa che non provenga da una scatoletta di latta (senza la linguetta, perché se vai al risparmio...). Guardo in frigo tanto per farmi venire l'ispirazione per solleticare il mio talento. Taleggio, gorgonzola, emmenthal (ma questo lo tengo per gli spaghetti alla svizzera), verdure miste, peperoni, cipollotti. La forma, il colore e l'odore dei cipollotti catturano la mia attenzione. I miei occhi vedono attraverso le coltri del tempo e immaginano i cipollotti in padella, apparecchiati con un'antica ricetta, ingentiliti con sapori e odori che solo un delicato equilibrio di spezie può creare. Deciso: cipollotti. Mi guardo attorno, accendo il computer e cerco un po' in giro per Internet qualche ricetta. Dopo pochi minuti trovo quello che fa per me. Eccola qui:

600 g di cipolle
15 cl di vino bianco
3 cucchiai di olio e.v.o.
pepe nero
succo di limone.

Mondare le cipolle e farle saltare con l'olio in una padella antiaderente.
Aggiungere il succo di limone
Versare il vino e farlo evaporare
Aggiungere pepe q.b.

Ora, come ho detto, la cucina è un'arte e ingabbiare l'estro di un artista in freddi schemi è una delle cose più meschine al mondo. Mi sono fatto un'idea di massima della ricetta, è giunto il momento di scatenare la mia fantasia.

Lavo e pulisco i cipollotti sotto l'acqua corrente. Dopo mezzora mi chiedo se tutto questo ha ancora senso. Comunque, ritengo i cipollotti sufficientemente puliti. Non ne ho 600 g, ne ho un po' meno, ma ok, non mi fa differenza. Li prendo e li sbatto nel tegame. Non ci aggiungo l'olio: l'olio, soprattutto quello fritto, non è che faccia così bene. Inoltre è sera ed è meglio tenersi leggeri. Non che ci tenga particolarmente alla mia salute, ma devo trovare una giustificazione al fatto di essermelo dimenticato. Per il limone non ci sono problemi perché non ce l'ho. Ma non è questa la cosa importante infatti sono stato previdente. Qualche giorno fa ho comperato una pianta di arancini giapponesi. Sono immangiabili. Sceglio i due più acerbi e li faccio a fette sottili. Aggiungo anche questi ai cipollotti nella padella. Accendo un fuoco brillante per cominciare la cottura (ho fame e non vedo l'ora di cenare). Vino! Apro il frigo e recupero la bottiglia di vino che l'orda di selvaggi mi ha portato per l'inaugurazione (non l'hanno sbevazzata solo perché era ancora caldo!). Putroppo non è bianco come raccomanda la ricetta. Dal tegame comincia a levarsi un leggerissimo sfrigolio di cipolle e mandarini acerbi. Cavatappi! Dove ho messo il cavatappi? Apro un cassetto, un altro, un altro ancora, il cassetto del tavolo, la credenza. Niente, non trovo il cavatappi. Sono spacciato! Lo sfrigolio si fa sempre più intenso. Adesso dal tegame sale un fumino bianco. Prendo un bicchiere, lo riempio di acqua e lo vuoto nel tegame per guadagnare qualche secondo e recuperare la calma. Ok, Paul, pensa, pensa. Mi viene in mente che mia madre (quella santa donna) non può essersi dimenticata del cavatappi. Ha pensato alle tende, figurati se si è dimenticata del cavatappi. Rifaccio il giro di tutti i cassetti. Sempre con la bottiglia in mano mi lascio andare a un gesto di trionfo e a un'imprecazione quando trovo un affare a forma di mela che pare faccia al caso mio. Avvito il melacavatappi nel tappo di finto sughero. Faccio leva. niente, non si apre. Faccio più leva. Il tagame sfrigola. Tiro con decisione. Niente. Mentre il suono delle cipolle che bruciano assieme ai mandarini satura l'ambiente, decido di usare tutte le mie forze per aprire la bottiglia. Fumo, c'è del fumo in casa, molto fumo! Respiro a fatica. I muscoli sono allo spasimo. Chiudo gli occhi, stringo i denti e tiro come se dovessi fermare il Titanic il giorno della partenza. Ce la faccio! Già dentro di me esulto, ma la mia gioia si trasforma in orrore quando vedo il melacavatappi rotto nelle mie mani e la bottiglia ancora tappata. Nel frattempo il fumo si è fatto ancora più denso e lo sfrigolio delle cipolle è diventato assordante.

Appoggio la bottiglia sul tavolo e spengo il fuoco.

Tutto preso dalla mia arte mi sono pure dimenticato di accendere la ventola della cappa. C'è un'odore pungente di cipolla bruciata. Io, il tavolo, le tende, il pavimento, tutto odorerà di cipolla per almeno una settimana. Nel tegame giacciono i resti semicarbonizzati della cena. Archivio il tutto (melacavatappi compreso) nel sacco dell'umido e un po' sconsolato mi dirigo ancora verso il frigo. Ci sono del gorgonzola e della colomba pasquale (che se non finisco un po' alla svelta diventerà simile al gorgonzola). La cena è servita.

Mentre mangio un sorriso mi si increspa il viso: ho fallito, è vero, ma credo di aver trovato il modo per tenere lontani i visitatori sgraditi.

martedì 13 aprile 2010

Andata e ritorno

Sono straziato dall'indecisione: passare il weekend qui o tornare a casa dai miei? L'accoglienza, il silenzio e il senso di libertà che mi dà questa nuova sistmazione non ha paragoni, d'altra parte ho un sacco di roba da lavare e stirare: sinceramente non mi ci vedo a perdere la domenica pomeriggio nel tentativo di appiattire una camicia. Ok, vado.

Serve l'organizzazione di un ragioniere e per fortuna io lo sono. Organizzato intendo, non ragioniere (grazie al cielo non sono ragioniere, a parte l'organizzazione, reputo quegli scribacchini una delle peggiori razze al mondo). Borsone alla mano, travaso i panni fetenti della settimana e un paio di salviette. Le lenzuola durano ancora. Mi vesto, controllo che sia tutto in ordine, chiudo le imposte ed esco. Ok, ho dimenticato le chiavi dell'auto. Rientro e le cerco. Eccole lì sulla mensola. Esco, ma una volta in auto mi viene in mente di aver lasciato il portafogli da qualche parte in casa. Possibile che tutte le volte che devo andare da qualche parte ci vogliano almeno tre false partenze? Comunque, recupero anche il portafogli. Un rapido controllo mentale su quello che ho e che non ho. Alzo le spalle e metto in moto. Senza ulteriori esitazioni parto. Svolto a destra e penso ai 30 chilometri che mi separano da tutto quello che mi sono lasciato alle spalle. I riti domestici di pranzo e cena, i discorsi vuoti e stantii, la quotidianità, la famiglia patriarcale, i 2 cani (uno orbo e l'altro scemo), il gatto, il nipotino. Nonostante siano passati solo quattro giorni, tutte queste cose mi sembrano così lontane. Possibile che stia già tornando indietro? Poi lo sguardo mi cade sul borsone che ho depositato senza troppe cerimonie sul sedile per passeggero, accelero. Sì, decisamente possibile, sto tornando indietro, chissà cosa c'è da mangiare per pranzo?

Arrivo finalmente a destinazione. I cani mi corrono incontro per farmi le feste. Io cerco di metterli sotto con l'auto, ma sono abbastanza svelti da evitarmi. Scendo ed entro in casa. Appena mi allontano dall'auto, il gatto si arrampica sul cofano e comincia a girare su se stesso per trovare una posizione comoda. Mia madre mi saltella incontro. È vestita con la divisa di ordinanza: pantofole, vestaglia, golfino, grembiule da cucina. Mi stringe nel suo possente abbraccio lasciandomi senza fiato e con le lacrime agli occhi mi porta in casa. Io e il borsone. Dalla cucina escono effluvi ipnotici, il mio stomaco si apre, gli occhi diventano liquidi, mi assale uno degli istinti più veri e atavici dell'uomo: la fame. È quasi ora di pranzo e praticamente non ho fatto colazione. Segue il pranzo. La parola pranzo però non rende l'idea. La mancanza di una persona ha un'unica unità di misura per mia madre. E la mia mancanza si misura in portate. Sono costretto a mangiare quasi il triplo di quanto mangio normalmente. Da principio la cosa non mi dispiace, ma a lungo andare comincio a soffrire di una certa pesantezza. Ah, non sono più quello di una volta! Ad ogni modo, riesco a tenere alto il mio onore. La quantità del cibo è tale che mi fa addirittura dimenticare l'insensatezza e la vacuità dei discorsi fatti. E così metà pomeriggio se ne va. L'altra metà la trascorro con i selvaggi che mi hanno invaso casa un paio di giorni fa. Sera, notte e poi un altro giorno. La cerimonia si ripete: pranzo, discorsi, amici, sera, notte, mattina.

Facciamo un bel check. Io, ci sono, assonnato, ma ci sono, portafogli, chiavi di casa, chiavi della macchina, borsone con la roba pulita (odora lontano un chilometro dei mille fiori di campo che adornano la Somme oggi). Direi che ho tutto. Ma no! Ecco che, ancora con le lacrime agli occhi, arriva lei! Porta tra le braccia un sacchetto con dentro della carta stagnola avvolta attorno a qualcosa delle dimensioni del cane orbo. Mi sono sempre chiesto in effetti che sapore ha un cane. Quando chiedo spiegazioni, mia madre mi istruisce sul contenuto. Pare che sia una quarto di qualche bovino. Quando le faccio presente che resterà in macchina fino alla sera, mi rassicura: "non ti preoccupare: si conserva, eccome se si coserva.". Abbraccio, bacio (d'ordinanza), manca giusto che mio padre agiti un fazzoletto bianco. Ingrano la prima e fuggo a tutta velocità. Penso ai 30 chilometri che mi separano dalla libertà.

lunedì 12 aprile 2010

Incursione atto secondo

Prima o poi lo vengono a sapere tutti quanti. Basta dire "beh, sto pensando di trasferirmi", per ottenere la risposta "INAUGURAZIONEEEEEEEEEEEEEEE!!!". No, davvero, da quel momento in poi, il lavoro più impegnativo è quello di posticipare la data di ingresso, di nascondere i tuoi lavori, le tue commissione, l'attivazione delle utenze. Ma lo sai anche tu: la prima settimana devi attrezzarti per respingere gli assalti dei tuoi compari. E degli amici dei tuoi compari. E delle morose dei tuoi compari. E dei vicini di casa dei tuoi compari. Arrivi anche a pensare che sarebbe stato meglio non averli i compari. Comunque, non ci puoi fare molto: devi dedicare almeno una serata ai tuoi amici o presunti tali. Si presentano, senza preavviso. No, ho sbagliato: il preavviso te lo danno: "Siamo sotto casa tua, ci apri?". E tu ti chiedi in continuazione perché non hai fatto il porto d'armi e perché non hai preso quel fucile quando ne avevi l'occasione. Stai anche meditando l'acquisto di un'arma molto più elegante e silenziosa, considerata a tutti gli effetti attrezzo sportivo, caricata a quadrelli, potenza nominale 175 libbre... sì, la balestra. Gli invasori si sono aggrappati al citofono da almeno 3 minuti e mezzo. Il suono assordante del citofono ti impedisce di pensare in modo lucido. Alla fine decidi di aprire sapendo già quello che ti aspetta.

Sulla soglia di casa aspetti che i barbari violentino la tua intimità. Il portone di ingresso si spalanca. Tamburi nell'oscurità... arrivano! C'è chi ti salta al collo in lacrime "oddioooo, sei deiventato grande! Ci manchi già." Notare che ci siamo visti ieri sera. C'è che ti scavalca e punta direttamente verso il frigo per due motivi, depredare quello che c'è dentro e mettere gli alcolici in fresca. Numero di alcolici direttamente proporzionale alle ore che si tratterranno. Quando vedo la cassetta da 12 di vino comincio a preoccuparmi. Un terzo sta correndo verso la camera da letto e citando superman (yaaaaaaaaaaaaah) si lancia sul materasso. I miei sensi acutissimi percepiscono il lamento straziante delle doghe nuove. E vorrei sottolineare il "nuove".

Ah, non mancano naturalmente i regali: preservativi alla frutta gusti misti (ho già in mente come usarli: 1. ci addobbo casa, 2. ci addobbo l'ufficio, 3. ci conservo la carne che mi ha portato mia madre l'altro giorno.), pizzette e stuzzichini in quantità industriale (che mangeranno soltanto loro, io, se va bene, ne mangio un paio), deodorante per la casa (credo sia più per il cesso che per il soggiorno), fornitura per 2 mesi di quattro salti in padella (scongelati), tempo di scadenza stimato entro e non oltre la settimana prossima...

Ma io non sono certo da meno, inoltre ero pronto. Sapevo che questo momento sarebbe arrivato, anche perché il solito collega l'aveva largamente anticipato descrivendo nei minimi dettagli la ricostruzione del salotto dopo che lo sciame di cavallete ci era passata. Con grande stile e disinvoltura apro le braccia e (non dimentichiamoci il sorriso a 45 denti) dichiaro che la cena è pronta.

Stasera trippa. In scatola.

venerdì 9 aprile 2010

Incursione

La chiamano perquisizioncina. Almeno, il mio collega la chiama così. Succede così: quando meno te lo aspetti ti piomba in casa qualcuno di grande, grosso e peloso (normalmente tua madre) e dà un'occhiata in giro per vedere come sei messo. La premurosa genitrice fruga un po' dovunque (preferendo frigo e armadio) e si assicura che sia tutto in regola, che, per dire, non ci siano le mutande in mezzo alla camera, che nel frigo non ci sia roba viva (ah, i miracoli della biologia!), che insomma il figlioccio stia conducendo una vita almeno dignitosa.

È andata così. Ore 17.13 suona il cellulare.

"Ciao, sono io"
"Io chi?"
"Come io chi?!? Sono la mamma! Senti, hai dimenticato le chiavi di casa qui da noi. Te le ho riportate."
"..."
"Tu quando torni dal lavoro?"
"Tipo fra mezzora."
"Ok, ti aspetto."

Non mi rendo subito conto di quello che sta succedendo. Finisco le quattro cose che sto facendo, chiudo tutto e vado. Più mi avvicino all'auto e più qualcosa non mi torna. Perché mi sta aspettando? E soprattutto, dove?

Realizzo. Inorridisco. Corro.

Arrivato a casa, parcheggio in fretta e furia e mi lancio verso la porta d'ingresso. Le chiavi, le mie intendo, le ho in tasca ovviamente. Tremante apro piano piano la porta e sbircio dentro. Prima un occhio, poi l'altro. Lei è lì. Mi aspetta straripante di soddisfazione. Entro e mi guardo attorno. Mentre lei mi mostra tutte le migliorie che ha fatto.

Il piano gas è pulito. Il tavolo è già apparecchiato (sono le 6 di sera!). Dai vetri della cucina riesco addirittura a vedere fuori. Il pavimento brilla e manda riflessi che sono stilettate. Alle finestre sono anche comparse delle tende bianche con sopra piccoli pallini rossi. Ormai la mia dignità, la mia indipendenza non esistono più. Sono un pupazzo in una casa di bambole. La soddisfazione fatta donna mi accompagna davanti al frigo e lo apre. I formaggi sono stati messi da parte per fare spazio ad ogni ben di Dio tra cui spicca un chilo di carne rossa (che sarà il mio sostentamento per il prossimo mese, credo). Ma è con la morte nel cuore che mi dirigo in camera: le mutande... per terra... non ci sono più.

Sono umiliato, sono un uomo finito, sono un pupazzo.

giovedì 8 aprile 2010

La prima spesa

Ho fatto la spesa. La mia prima spesa. Mentre ripongo tutti gli acquisti nella credenza sono ancora eccitato da questa esperienza! Ah il supermercato. Luogo sublime, apice della scienza logistica, punto d'incontro tra macelleria e psicologia! E ha pure l'aria condizionata. Oggi faceva caldino, ma là dentro non si stava per niente male.

Comunque, dicevamo, la spesa. Ho dilapidato novanta euro in un'ora e mezza. Praticamente un euro al minuto, ma credo che avrò da mangiare per almeno due mesi. Non avete certo idea di quante scatolette si possono comperare con novanta euro. La cosa grandiosa è che nelle scatolette ci mettono di tutto, ma proprio di tutto. Ecco una selezione degli acquisti. Fagiolini bianchi, fagioli borlotti, mais dolce, piselli, ceci, lenticchie. Carne di manzo. Tonno, salmone, sgombri, salmone affumicato, salmone affumicato in olio extravergine di oliva, tonno piccante, tonno con mais peperoni e fagioli, polpa di granchio. Trippa. No, dico, vi rendete conto? Fanno la trippa e la mettono in scatola, così non hai che da scaldarla un po' e la cena è servita (ma sto meditando di usarla per la colazione di domani). Ho acquistato tre copie di ogni scatoletta: mi piace variare la mia alimentazione e mi piace essere previdente. Peccato non facciano anche il pane in scatola. Sarebbe molto più comodo e si conserverebbe più a lungo. Nota per me: brevettare il pane in scatola.

Ovviamente, non mi sono fatto trasportare dal solo entusiasmo: ho fatto acquisti assennati prestando molta attenzione anche al prezzo: optando per la variante più economica di ogni prodotto si riesce a risparmiare un sacco di soldi. Certo, si deve concedere qualcosa sull'estetica degli acquisti, ma fa parte della mia filosofia di vita: prima di tutto l'utilità! Annoto che una scatoletta è ammaccata (fagioli borlotti), a un paio manca l'etichetta (mais e ceci... credo) e su una confezione di tonno la data di scadenza è stampata due volte. Le due date sono differenti e una è passata da un paio di anni. Bah, avranno avuto rogne con le stampanti industriali subito dopo l'inscatolamento del roseo pesce.

Essendo questa la mia prima spesa mi sono anche fatto un regalo: fornitura di formaggi misti per 5 mesi. Il formaggio non scade e io adoro il formaggio.

Ma adesso vi lascio: credo che la pasta sia pronta. Buon appetito.

mercoledì 7 aprile 2010

Mi chiamo Paul

Ciao, mi chiamo Paul.

Naturalmente il nome è puramente di fantasia, non mi va di espormi troppo. Certo, non sono qui per rivelare segreti inconfessabili o verità nascoste, ma, insomma, capitemi, ci tengo un po' alla mia privacy.
Comunque sia, voglio raccontarvi una storia. La mia storia. Da poco mi sono trasferito a vivere da solo, conquistando così la mia indipendenza. Non vi dirò la mia età, ma sappiate almeno che non sono un ragazzetto. Ho vissuto già parte della mia vita con buoni risultati, ma questo... questo ha il sapore di un inizio. Un nuovo inizio. E ho deciso di non tenerlo tutto per me. Cercherò da oggi in poi di tenere, non senza un certo rigore scientifico, la cronaca di tutto quello che mi capiterà, dei problemi e delle soluzioni (sì, sono bravo a trovare soluzioni) innovative che riuscirò a trovare.

Se volete, scrivetemi pure, sarò lietissimo di leggere, rispondere e criticare ferocemente tutti i vostri consigli. Ora, scusatemi, sto spulciando qualche sito di ricette: la cena incombe e non ho idea di cosa mangiare.