lunedì 26 aprile 2010

Grandi magazzini, piccoli uomini

Domenica aperto. Li vedi campeggiare sopra ogni supermercato almeno 3 volte al mese. Parlo degli striscioni colorati che coronano i grandi magazzini. Secondo me non li levano mai e si limitano a lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Fatto sta che domenica, dopo pranzo (vi risparmio i dettagli sulle battaglie aeree e sulle abitudini di Attila), il bel nipotino è più vivace del solito. Credo che si sia impossessato della tazzina di caffè di mia madre e l'abbia bevuta in un colpo. La povera donna ha cercato di levargliela con la sola forza del pensiero e con ben due decibel di voce intimandogli di metterla giù. Data la vivacità del pupo capisco che è molto meglio farlo sfogare altrove dato che in questa casa c'è ancora troppa roba mia e mi dispiacerebbe vederla ridotta in cenere entro la giornata.

La gestisco come sempre: "Andiamo al supermercato" gli faccio con un sorriso talmente falso che anche Giuda si sarebbe scandalizzato.
"Yaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!" l'invariabile risposta.
E poi la sorpresa, "Vengo anche io, ma andiamo dal cinese." Mia madre.

Dovete sapere che vicino al supermercato bersaglio dell'ira di Attila, c'è un negozio cinese, con cartelloni cinesi (con scritto sopra "domenica aperto"), con dentro gente cinese che vende roba cinese in cambio di soldi italiani (europei, ok!). E sia, andiamo tutti quanti al cinese a fare due passi. Il fatto che venga anche mia madre mi dà un po' da pensare, ma cerco di concentrarmi sulla guida mentre lei parla in continuazione e Attila salta sul sedile posteriore. Trovo commovente il fatto di soffrire mal d'auto mentre sto guidando a causa dei sobbalzi che le povere sospensioni devono subire mentre Attila si esibisce in fantanstiche piroette. Arriviamo dal cinese, si chiama tipo Dong Li Chen o qualcosa di simile. Quando scendo dall'auto sento lo stomaco leggermente stravolto, ma niente che un paio di bei respiri profondi non riescano a mettere a posto. Attila corre verso l'ingresso cinese urtando contro una coppia di persone. Si guarda attorno e corre a recuperare un carrello. Che tradotto significa che sta andando a cercare una vecchietta, preferibilmente sopra gli ottant'anni. Una volta individuata la vittima, il piccolo unno, con grande maestria le sottrarrà il carrello assieme alla moneta da 2 euro ivi contenuta e sparirà all'interno del grande magazzino cinese fingendo di essere Sandro Munari e urtando contro più scaffali nel minor tempo possibile. Quando io e mia madre entriamo vediamo una novantenne stesa: abbiamo un carrello.

Il grande magazzino cinese vende tutto e il contrario di tutto (ovviamente cinese). Io e mia madre ci separiamo. Così per curiosità vado sempre a vedere il reparto di tecnologia a basso prezzo. Bilance elettriche cinesi, caricabatterie universali cinesi per navigatori, lettori mp3 cinesi, computer portatili cinesi, macchine fotografiche cinesi, chiavette USB cinesi e un carrello cinese, guidato da un folle italiano alto un metro e dieci che si muove nella mia direzione a grande velocità. Non credo che riuscirà a fermarsi e mentre lo penso raccomando l'anima al Padre Eterno. Invece, a dispetto della fisica che regola il nostro mondo, riesce, facendo attrito (e un sacco di scintille) contro lo scaffale, a fermarsi appena prima di mettermi sotto.

"Lo yeti ti vuole! Lo yeti eh. Aaaargh! Nonna yeti!" e corre via sbandando paurosamente.

Dovete sapere che Attila ha grandissimo rispetto per i suoi antenati e chiama mia madre "lo yeti", capisco che la differenza di stazza sia notevole, ma almeno un minimo di deferenza nei confronti di sua nonna ci vorrebbe. Ritrovo mia madre che si sta provando una sorta di pelliccia. Riesco appena in tempo a soffocare una risata.

"Vieni, ti faccio vedere una cosa" mi fa.

La cosa è una specie di tappeto arancione fluorescente (reso così dalla presenza di batteri che popolano i fondali marini).

"Non sarebbe meraviglioso al posto dell'arazzo? In testa al letto?" mentre si gongola alla sola idea di appendere quell'abominio lurido in casa mia.

"Guarda... preferirei iniettarmi del colera, piuttosto che dormire con quel coso in testa."
"Non ti piace?" incredula.
"Quale parte di 'colera' non ti è chiara?
"Eh vabbè, non si può nemmeno forzarti, la casa è la tua. Comunque secondo me stava bene." Non ci posso credere: rinuncia.

Tento di filarmela ancora. Dopo un po' l'araldo dell'apocalisse mi ritrova e mi corre incontro. Frena (altre scintille) e mi fa sapere che nonna yeti mi desidera ancora.

Stavolta, la trovo mentre, coadiuvata da un commesso cinese, sta scegliendo un portabiancheria cinese. Tutti i modelli che sono esposti hanno qualcosa che non va (secondo me l'odore, secondo lei la forma). Il commesso è addirittura andato a frugare nel magazzino cinese e ha trovato un reperto del tardo periodo Ming. Mia madre apprezza, io molto meno.

"Scusi buon uomo, come si dice 'odora di morto' in cinese?" chiedo al commesso. Mia madre, capisce l'antifona e ripone il portabiancheria. Io so già che non finirà qui, perché mi deve trovare qualcosa. Fa salire, allora, il piccolo commesso sullo scaffale più alto per recuperare quel bel portariviste cinese di vimini. E sottolineo lo scalare. Il piccolo commesso lo recupera, ma nell'afferrarlo perde l'equilibrio. Commesso e portariviste di vimini precipitano, ed è solo grazie a mia madre che il portariviste si salva. Non si può dire lo stesso del commesso che giace a terra rantolante con una gamba piegata in modo innaturale. Data la scena straziante, acconsento all'acquisto dell'orrore in vimini mentre una sinfonia di porcellana annuncia l'arrivo di Attila nel reparto vasi... cinesi.

2 commenti:

  1. Bastardo d'un unno!!! La "novantenne stesa" era mia nonna!!! Paul anche se non esisti ti denuncio... perchè io so che esisti e so dove abiti!!! Se non vuoi ripagarmi il femore della nonna... almeno ridammi i 2 Euro del carrello!!!

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  2. L'autore declina ogni responsabilità, contattatemi privatamente per ottenere l'indirizzo del Paul e per ottenere risarcimenti varii.

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