martedì 13 aprile 2010

Andata e ritorno

Sono straziato dall'indecisione: passare il weekend qui o tornare a casa dai miei? L'accoglienza, il silenzio e il senso di libertà che mi dà questa nuova sistmazione non ha paragoni, d'altra parte ho un sacco di roba da lavare e stirare: sinceramente non mi ci vedo a perdere la domenica pomeriggio nel tentativo di appiattire una camicia. Ok, vado.

Serve l'organizzazione di un ragioniere e per fortuna io lo sono. Organizzato intendo, non ragioniere (grazie al cielo non sono ragioniere, a parte l'organizzazione, reputo quegli scribacchini una delle peggiori razze al mondo). Borsone alla mano, travaso i panni fetenti della settimana e un paio di salviette. Le lenzuola durano ancora. Mi vesto, controllo che sia tutto in ordine, chiudo le imposte ed esco. Ok, ho dimenticato le chiavi dell'auto. Rientro e le cerco. Eccole lì sulla mensola. Esco, ma una volta in auto mi viene in mente di aver lasciato il portafogli da qualche parte in casa. Possibile che tutte le volte che devo andare da qualche parte ci vogliano almeno tre false partenze? Comunque, recupero anche il portafogli. Un rapido controllo mentale su quello che ho e che non ho. Alzo le spalle e metto in moto. Senza ulteriori esitazioni parto. Svolto a destra e penso ai 30 chilometri che mi separano da tutto quello che mi sono lasciato alle spalle. I riti domestici di pranzo e cena, i discorsi vuoti e stantii, la quotidianità, la famiglia patriarcale, i 2 cani (uno orbo e l'altro scemo), il gatto, il nipotino. Nonostante siano passati solo quattro giorni, tutte queste cose mi sembrano così lontane. Possibile che stia già tornando indietro? Poi lo sguardo mi cade sul borsone che ho depositato senza troppe cerimonie sul sedile per passeggero, accelero. Sì, decisamente possibile, sto tornando indietro, chissà cosa c'è da mangiare per pranzo?

Arrivo finalmente a destinazione. I cani mi corrono incontro per farmi le feste. Io cerco di metterli sotto con l'auto, ma sono abbastanza svelti da evitarmi. Scendo ed entro in casa. Appena mi allontano dall'auto, il gatto si arrampica sul cofano e comincia a girare su se stesso per trovare una posizione comoda. Mia madre mi saltella incontro. È vestita con la divisa di ordinanza: pantofole, vestaglia, golfino, grembiule da cucina. Mi stringe nel suo possente abbraccio lasciandomi senza fiato e con le lacrime agli occhi mi porta in casa. Io e il borsone. Dalla cucina escono effluvi ipnotici, il mio stomaco si apre, gli occhi diventano liquidi, mi assale uno degli istinti più veri e atavici dell'uomo: la fame. È quasi ora di pranzo e praticamente non ho fatto colazione. Segue il pranzo. La parola pranzo però non rende l'idea. La mancanza di una persona ha un'unica unità di misura per mia madre. E la mia mancanza si misura in portate. Sono costretto a mangiare quasi il triplo di quanto mangio normalmente. Da principio la cosa non mi dispiace, ma a lungo andare comincio a soffrire di una certa pesantezza. Ah, non sono più quello di una volta! Ad ogni modo, riesco a tenere alto il mio onore. La quantità del cibo è tale che mi fa addirittura dimenticare l'insensatezza e la vacuità dei discorsi fatti. E così metà pomeriggio se ne va. L'altra metà la trascorro con i selvaggi che mi hanno invaso casa un paio di giorni fa. Sera, notte e poi un altro giorno. La cerimonia si ripete: pranzo, discorsi, amici, sera, notte, mattina.

Facciamo un bel check. Io, ci sono, assonnato, ma ci sono, portafogli, chiavi di casa, chiavi della macchina, borsone con la roba pulita (odora lontano un chilometro dei mille fiori di campo che adornano la Somme oggi). Direi che ho tutto. Ma no! Ecco che, ancora con le lacrime agli occhi, arriva lei! Porta tra le braccia un sacchetto con dentro della carta stagnola avvolta attorno a qualcosa delle dimensioni del cane orbo. Mi sono sempre chiesto in effetti che sapore ha un cane. Quando chiedo spiegazioni, mia madre mi istruisce sul contenuto. Pare che sia una quarto di qualche bovino. Quando le faccio presente che resterà in macchina fino alla sera, mi rassicura: "non ti preoccupare: si conserva, eccome se si coserva.". Abbraccio, bacio (d'ordinanza), manca giusto che mio padre agiti un fazzoletto bianco. Ingrano la prima e fuggo a tutta velocità. Penso ai 30 chilometri che mi separano dalla libertà.

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