martedì 25 maggio 2010

La sicurezza del lavoro

"Lo so che non ve ne frega niente, che siete qui perché vi è stato imposto. D'altronde non è un problema mio, io sono pagato per rendere la prossima ora e mezza uno dei momenti più noiosi della vostra intera esistenza. E, credetemi, ci riuscirò. Chi sa cos'è la sicurezza sul lavoro?"

Mi perde in questo preciso istante. Difficile che riuscirà a recuperare la mia attenzione senza tirare fuori un estintore per spegnere Macaco1 in fiamme che corre per la stanza. Molto difficile! Come sempre, in situazioni come questa, applico il mio superiore controllo mentale. Spengo lo sguardo, privo gli occhi di qualunque barlume di umana intelligenza, fisso un punto alle spalle del relatore. Accavallo le gambe e faccio penzolare le braccia. Contraggo a ritmo i muscoli del collo per produrre un perpetuo annuire. Ho fatto tutta l'università così, figuriamoci se un'oretta può spaventarmi. La funzione di stand by del mio cervello entra in funzione pochi secondi dopo l'inizio del corso, davanti ad una slide che mostra una sorta di organigramma.

Quando esco dalla trance, un'ora dopo, la slide non è cambiata e il tizio in maglietta azzurra sta ancora indicando il secondo rettangolo. Nella stanza l'aria è pesante e la luce della sera mi dice che dovrei essere fuori a correre libero e non qui dentro ad ascoltare i vaneggiamenti di un pazzo. Mi guardo attorno per vedere in che condizioni sono i miei colleghi. Macaco1, con una biro nel naso, sta guardando fuori dalla finestra dando più o meno la schiena al relatore. La cosa non mi stupisce, il tempo di concentrazione di Macaco1 è sì e no due minuti. Ogni tanto, per interrompere la monotonia del tardo pomeriggio, Macaco1 lecca il vetro. Macaco2 è ancora immobile con lo sguardo fisso sull'organigramma. Il suo respiro è flebile, ridotto quasi a un soffio con rantolo finale. Temo che non sopravviverà all'incontro. Poco male, dato che non si è ancora riprodotto. Una collega, giovane e bella, sta piagnucolando in un angolo. Vuole andare a casa, vuole che questa sofferenza le sia risparmiata, si lamenta che non è stata assunta per ascoltare queste follie, che vuole solo lavorare e guadagnarsi qualcosina. Un altro collega, un veterano del mondo del lavoro, ha un coltello e si sta incidendo una mano cantilenando a denti stretti "un coniglio nel cappello... un coniglio nel cappello..." Probabilmente il dolore fisico è la sua via di fuga dal mondo reale. Oppure vuole aggrapparsi alla vita e l'unica sua prova tangibile è il proprio dolore. Minuscole gocce di sangue cadono al suolo facendo da controcanto alle eresie pronunciate con tracotanza dal nostro carnefice. Il respiro pesante di uno dei soci (uno di quei disgraziati che mi paga lo stipendio) è la prova evidente che sta dormendo lì in mezzo a tutti. Un lucente filo di bava gli cola dall'angolo della bocca fin sul colletto della camicia. Il collega nuovo ha preferito iniettarsi una rarissima variante del virus influenzale piuttosto che presentarsi oggi. Per lui provo un misto di rispetto e di pena. Rispetto perché ci vuole coraggio a dire di no. E pena perché per lui il corso sarà personalizzato. Dietro di me, poi una ragazza alza la mano. Gli occhi del nostro mentore si illuminano: "Oh, una domanda! Prego." "Sì, beh, io dovrei andare a mescolare il sugo, mi spiace ma mi tocca andare a casa." E detto questo si catapulta verso la porta. Anche per lei corso personalizzato tra qualche giorno.

Rientro nella fase REM controllato e mi risveglio con un foglio e una biro in mano: un test di comprensione di fine corso. Copio spudoratamente le risposte di Macaco2 sopravvissuto. Chiedo al tizio se posso andare in bagno con il test prima di riconsegnarlo, ma mi nega anche questa soddisfazione. Allora firmo, piego il test a forma di barchetta e glielo restituisco. Chissà che sorpresa che avrà scoprendo che uno dei presenti in aula fa di nome Frank Sinatra!

Nessun commento:

Posta un commento