mercoledì 12 maggio 2010

I volti del passato

Seduto al tavolo, una mano a penzoloni, l'altra stretta attorno al bicchiere. L'unica luce accesa è quella della camera da letto, così con la porta aperta crea un'atmosfera delicata. Porto il bicchiere alle labbra, reclino il capo e aspetto che l'inebriante liquido mi scenda in bocca. Scopro che il bicchiere è vuoto. Lo appoggio sul tavolo e lo riempio di nuovo. Poso la bottiglia. Riporto il bicchiere alla bocca e tracanno tutto il contenuto. Potrei pensare che tutto questo sia colpa della solitudine, ma sarebbe come mentire a se stessi. Anzi, la solitudine sarebbe la vera soluzione. Adesso voglio solo dimenticare e lasciarmi cullare dallo stordimento momentaneo e dal senso di pienezza, ma non è facile. Non con una dozzina di occhi che ti fissano, mentre lunghe facce ancestrali penzolano dalle pareti. Mentre bevo mi guardo attorno e spero che il sonno arrivi presto, perché i ricordi non hanno intenzione di andarsene.

Sono ricordi di qualche anno fa, tre direi. Un paese lontano nello spazio e nel tempo, che si porta dietro una storia millenaria fatta di guerre, di eroi, di morte e di gioia. Un paese torturato, un paese dove le canzoni sono semplici come l'eternità e parlano di qualcosa che è sempre stato e che deve ancora venire. Un paese grande come gli occhi dei bambini. L'Africa. È stato solo tre anni fa, eppure mi sembra passata una vita. Ricordo un'immensa gioia, ma anche momenti strazianti, come la partenza e di come Mwai sia risciuto a fregarmi.

"Compra l'elefante."
"No, Mwai, grazie."
"Dai, compra l'elefante."
"No, davvero, non lo voglio, grazie Mwai."
"Un elefante di Mwai per l'amico Paul."
"Non lo voglio l'elefante!"
"Non un elefante. Il mio elefante."
"No! Mi fa schifo l'elefante e non lo vogl... eddai non fare quella faccia. Davvero, non mi serve l'ele... ok dai, dammi quello piccolo. Lì, quello lì."

Mwai prende l'elefante di legno lucido e scuro quasi come la sua pelle e me lo porge.

"Compra mamma elefante."
"No, basta, Mwai, basta così."
"Dai, compra mamma elefante."
"Davvero, no, e poi senti, stanno chiamando il mio volo."
"La mamma dell'elefante di Paul. Compra la mamma."

Il volo lo stanno chiamando davvero, al che Mwai mi si avvinghia addosso implorandomi di comperare anche la mamma. Per paura di perdere l'unico volo verso la salvezza cedo al bieco ricatto di Mwai che mi lascia libero solo dopo avermi venduto la famiglia degli elefanti al gran completo, sei maschere di legno con la scritta 'Made in China' sul retro, un bongo piccolo, un bongo medio, un flauto di osso, un portafoto d'argento, uno scendiletto persiano, una calcolatrice tascabile e una cassetta di frutti di mango. Carico come un mulo cerco di guadagnare la sicurezza dell'aereo. Dichiaro che tutto il ciarpame è bagaglio a mano e me ne torno in patria mangiando manghi. Una volta a casa, in Italia, archivio tutto quanto in un ripostiglio cercando anche di non pensare ai denari gettati al vento. Speravo di aver sepolto quei ricordi per bene, ma, si sa, non si può mai fuggire dal proprio passato.

Oggi mia madre deve essere stata qui a mia insaputa. Pensando di farmi cosa gradita, ha riesumato mezza Africa e se l'è portata dietro. La immagino mentre con le sue enormi braccia pianta qualche chido strategico e ci appende le maschere afro-cinesi. Mentre dispone gli elefanti in fila vicino alla bilancia, sulla credenza, il flauto sul tavolo e lo scendiletto in camera. I bonghi sono sul divano. E io che pensavo, povero illuso, di essermi lasciato alle spalle tutto quanto!

Vuoto un altro bicchiere. Ho anche finito la bottiglia. Non fa effetto: mi sa che se voglio esorcizzare il passato, mi servirà qualcosa di più forte della Ferrarelle.

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