martedì 4 maggio 2010

Follie di primavera

Inquietudine è avere dentro un'idea ancora informe. Una di quelle idee che faticano ad uscire, ma che una volta nate, hanno la potenza di portarti al cambiamento, di farti muovere. Idee di questo tipo non vanno mai sottovalutate. Inoltre, se guardi in retrospettiva, ti accorgi che i grandi cambiamenti e le decisioni più importanti sono prese proprio a ridosso della nascita di queste piccole, stupide idee. Oggi è nata un'idea che stavo covando da qualche tempo.
Comincio a correre.

Check list per iniziare: scarpe, maglietta, pantalocini e fascia per il sudore da ficcarmi in testa. Fuori dal lavoro mi fiondo in un grande magazzino di roba sportiva e comincio a girare con circospezione nel reparto scarpe. Si avvicina l'implacabile commesso con il sorriso a settantadue denti.

"Hai bisogno?"
"No, è che mi eccito con l'odore di gomma e allora sono venuto qui."
"Se stai cercando delle scarpe è meglio se guardi il reparto qui a destra dove stanno quello da uomo," mentre indica la calzatura che ho in mano. Non ci avevo fatto tanto caso, ma è rosa con i brillantini. La ripongo pensando che in fondo non mi dispiaceva del tutto.

"Numero?"
"Pi greco, il mio preferito."
"No, intendo, che numero porti?"
"Quaranta."

Comincia a frugare, ad aprire scatole e a parlare da solo. Mugugna robe tipo presa al suolo, accelerazione, ammortizzamento, elasticità. Alla fine produce una scarpa e ma la mostra tenendola in mano come se fosse una reliquia.

"Quanto costa?"
"180 euro: è in offerta eh."
"Sì, bella, ma non hai qualcosa di più economico."

Parte una sessione degna del mercato di Marakesh. Lui fruga, mostra e declama qualità e prezzi. Io faccio no con la testa finché non troviamo un accordo. Il modello che fa per me costa ventidue euro e mezzo, è colore merda di gatto e sui talloni ha un paio di led blu che si illuminano a tempo con il passo. Fantastica! Pago, esco e mi catapulto a casa.

Maglietta, pantalocini, scarpe ed esco di casa (ho dimenticato la fascia). Chiudo a chiave e mi incammino fuori dalla corte. Faccio un minimo di riscaldamento, passeggio un po' a passo spedito, poi il allungo sempre più finché non raccolgo le braccia e mi sollevo da terra. Sto correndo!

Un passo dopo l'altro e il paese vola via. Le vetrine dei negozi ancora aperti, la posta, la banca, il macellaio, il panettiere e il fruttivendolo dove rischio di schiantarmi contro la porta aperta all'improvviso da un cliente. Sento il cuore che comincia a battere più forte. Dovrei andarci con calma, senza esagerare, che è la prima volta che esco, ma non mi ascolto. C'è un animale selvaggio dentro me e il paese è la mia prateria. Alzo il ritmo, corro, volo e i led delle scarpe lasciano una scia blu incandescente che acceca i passanti.

Battiti e passi, passi e battiti. Il due cilindri dentro me prende un ritmo forsennato, forse è meglio se rallento. Sudo da matti, sbuffo come una locomotiva a vapore, ho un caldo tremendo e le gambe dolgono. Anche la milza fa male e sento come se pulsasse un po', così la comprimo con la mano. La vista comincia a offuscarsi e i suoni si fanno ovattati. Mi ero immaginato la morte in modo un po' diverso, diciamo a forma di radiatore di camion, ma, ok, mi sta bene anche così.

Rallento. Riprendo a camminare poi mi fermo con le mani sulle ginocchia, piegato in due dalla fatica. Cerco di riprendere a respirare. La milza smette di farmi male. Recupero la posizione eretta. Mi guardo intorno per capire dove sono e per valutare il rientro. Avrò percorso non meno di 700 metri in un quarto d'ora. Soddisfatto, mi metto a fare l'autostop sperando che qualche anima pia mi riporti a casa.

Bellissimo, domani si fa il bis.

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