martedì 1 giugno 2010

Storie di uomini e di barbari

Attila ha una sorellina. Lei è tenera, è delicata, è bellissima. Ha un anno e mezzo o poco più. Non puoi restare indifferente al suo sorriso, ai suoi occhi azzurrissimi e ai ricciolini biondi. È semplicemente stupendo sentirla ridere di gusto quando le fai il solletico e produci i versi più imbarazzanti mimando gli animali feroci della foresta che le piacciono tanto. Domenica, dopo aver dormito in macchina tutta notte, sono andato da mio fratello a recuperare i nipotini per portarli dai miei. Dato che ero lì ho giocato un po' con la piccola mentre mio fratello si vestiva e si rendeva presentabile.

Poi, una volta uscito dal bagno, gli faccio "Vado avanti, ti aspetto là."
"Sì bravo." E mi guarda storto.
"Cosa?"
"Non fare il furbo. Lei resta, tu prendi Attila."

Mi piacerebbe scaricare il pargolo nei pressi di qualche carcere minorile, ma qui nei dintorni non ce n'è. E sia, prendiamo Attila e portiamolo a casa.

Durante il viaggio sta buono e tranquillo. Lo sa che lo sto portando nel suo parco giochi preferito, dove mamma yeti gli fa fare tutto quello che vuole e corre ad ogni singolo vagito emesso dalla sua malefica bocca. E sa anche che io conto meno di niente quando lui è nei dintorni, tutte le mie lamentele sulla sua educazione sono parole al vento.

Arriviamo a casa mia. Lui salta giù dall'auto e lanciando il suo consueto urlo di battaglia (YAAAAAAAAAH!) si getta nel cortile. Il dobermann dei vicini guaendo cerca rifugio nella cuccia. Attila, con gli occhi iniettati di sangue cerca la sua preda preferita, il gatto, come s'è già detto. Quando lo trova si fionda all'inseguimento, ha in mente per lui una morte atroce, violentissima, ma particolarmente lenta. Il gatto, d'altra parte, sapendo che otto delle sue vite già andate perse, scappa via e trova rifugio sulla pianta di amarene.

Confidente che Attila investirà un po' di tempo ronzando attorno alla pianta, prendo la sdraio e mi godo un po' il sole mattutino. Nel frattempo sto nei dintorni, nel caso in cui il gatto abbia bisogno di una mano.

Tentativo 1
Attila tenta di scalare la pianta a mani nude, per avere una presa migliore sulla corteccia utilizza anche i denti. Ho perso il conto, non so se questi sono ancora da latte o sono definitivi. Spero la seconda.

Tentativo 2
Attila, nei pressi della pianta, raccoglie qualche sasso e comincia a bersagliare il gatto. Il gatto, naturalmente, si salva. Non si può dire lo stesso di due vetri dei vicini, del dobermann impaurito, dell'auto del figlio dei vicini e di mamma yeti, colpita a tradimento da un proiettile. Ma mamma yeti non proferisce parola.

Silenzio. Silenzio. E ancora silenzio. Il silenzio è il primo sintomo del pericolo. Apro un occhio per controllare Attila.

Tentativo 3
Attila ha in mano due oggetti che non fanno una bella coppia: una tanica di miscela che mio padre utilizza per alcuni attrezzi e un accendino. Si avvicina all'albero con il preciso intento di fare il gatto flambè. Sorrido e mi giro dall'altra parte: in casa non c'è un accendino ce funzioni. Il più recente risale agli anni ottanta. Click, click, click, click, click, click, click, CLICK. Niente non va, come avevo previsto. L'aria è saturata dal grido di impotenza di Attila.

Tentativo 4
Attila corre in casa. Dalla mia posizione riesco a vedere mamma yeti che gli porta una sedia sul tetto della veranda. L'intento è quello di scalare la pianta dall'alto. Mamma yeti, con un filo di voce fa: "Ma stai attento..." Attila si sporge, si allunga, tasta il terreno, cerca di afferrare il ramo. Niente da fare non ci arriva. Si lamenta, blandisce mamma yeti. Ogni sua lamentela è una sinfonia alle mie orecchie. Pargolo malefico e viziato, imparerai che la vita è dura. Oh se imparerai!

Tentativo 5
L'accetta. Attila riscopre le armi ancestrali e con l'accetta tenta di abbattere l'esile pianta di amarene. Toc, toc, toc, toc, toc. "Caaaaaaaaaaaaaaaaaadeeeeeeeeeee". Sì la piantina che sorregge il gatto cade. Sopra Attila, che rimane intrappolato tra la chioma e il terreno. Piange mentre il gatto ottiene la libertà.

Povero bimbo. Vado a recuperare l'accetta e la rimetto nella scatole degli attrezzi di mio padre. Sposto la sdraio nei pressi di Attila che mugugna e dormo sereno fino all'ora di pranzo.

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